sabato 17 agosto 2019

E mentre apri e chiudi i porti nel frattempo in Bosnia ...

Viviamo un tempo sbagliato, confuso, in cui tutto e il contrario di tutto diviene verità, dove alla confutazione dei fatti si sostituisce l'invenzione degli stessi e in casi minori l'enfatizzazione del pericolo minore.
E così mentre in Italia i nostri politicanti litigano sull'aprire o chiudere i porti, e l'Europa Unita si arrovella su quali paesi possano accogliere la nuova "ondata" di profughi (sarebbero 3-4 per paese ad occhio e croce), la realtà sfugge completamente dagli occhi ottenebrati del povero quisque de populo italico.
Prima di vedere cosa accade in Bosnia, restiamo, però, ancora un po' nel nostro meraviglioso Bel Paese.
Una persona che a Lampedusa ci vive, il Sindaco, ha affermato più volte che mentre ci si arrovella su dove e se debba attraccare la Open Arms e/o altra nave gestita da ONG, giornalmente avvengono sbarchi sull'isola, e loro come sempre sono lì pronti ad accogliere.
Allora qual'è il problema vero? Il problema vero è che, se i migranti arrivano da soli non sa niente nessuno, non gli interessa a nessuno e non si preoccupa nessuno, tranne la popolazione di Lampedusa, mentre se arrivano con le navi "sponsorizzate", allora si questo è il problema, perché questi migranti si notano e magari sono solo un quarto di quelli che sbarcano in silenzio.
Così trovato il nemico, vacci giù pesante.
Ma, poi, alla lunga si diventa patetici.
C'è un paese diviso in molti paesi differenti figlio spurio di una guerra che abbiamo definito "civile" che il problema migranti forse ce l'ha davvero, ma a chi importa veramente della Bosnia? A chi importa della migliaia di poveri cristi, in una paese di poveri cristi che giornalmente, di nascosto, cercano di attraversare la frontiera dell'Europea Croazia?
A nessuno, neanche al piccolo ducetto gendarmotto che pur di fare il gradasso ha fatto cadere l'unico governo finto ma possibile.
Quel ducetto qualche giorno fa si è recato alla frontiera tra Italia e Slovenia, dove pure Fedriga (ma dai scherzava!!!) voleva riabilitare il vecchio muro, e ha detto : "Oh ragazzi qui tutto tranquillo eh ... comunque vigileremo ... qui non passa nessuno ...".
E grazie alla ... Bosnia verrebbe da dire o meglio alla democraticissima Croazia.
Che poi non è vero, se si chiede ai goriziani, vi diranno che da dove prima passavano gli jugoslavi durante la guerra fredda ora passano i migranti, ma meglio che il ducetto non lo sappia magari rimura la cucina della casa di una povera vecchietta.
Insomma mentre in Italia ci si arrovella per poche decine di migranti che stanno "invadendo" l'Italico suolo, in Bosnia e precisamente al confine con la Croazia nelle città di Bihac e Velika Kladusa forse una sorta d'invasione sta avvenendo, un invasione di disperati in un paese di disperati.
Non ci sono più posti nei campi al confine con la Croazia, Bira, Sreda, Borici non bastano più a Bihac, il campo Miral non basta più a Velika Kladusa.
Una fonte certa a me vicina mi conferma che la situazione precipita ogni giorno di più, i migranti bivaccano sempre più per strada, semi nascosti per evitare di essere intercettati dalla Polizia. Le autorità, le ONG, l'OIM non riescono più neanche ad identificarli.
Si nascondono si, perchè se si viene intercettati dalla polizia si rischia di finire nell'inferno d'Europa, nella vergogna del continente: il campo di Vucjak, posto tra i monti al confine tra Croazia e Bosnia, li dove finisce una strada sterrata e termina la civiltà (se così possiamo ancora definirla).
Me ne sono già occupato in un post su Facebook dove ho postato anche un video del campo, uno dei pochi, perchè a Vucjak anche le autorità internazionali hanno difficoltà ad entrare. Ho caricato il video anche su Youtube e lo trovate a questo link:


Non solo i video danno l'idea di quanto accade, ma sono soprattutto le voci di chi sta vivendo sulla propria pelle questa terribile situazione a rendere la gravità della situazione.
Cliccando sul link che segue, avrete l'occasione più unica che rara di ascoltare dei reportage audio dal confine curati da Flora Zajicek che ha raccolto e raccoglie giornalmente le storie di chi attende il proprio destino. Basta la conoscenza base dell'inglese e tanta attenzione nell'ascolto, ma ne vale la pena, sono documenti di prima mano e non filtrati da alcuna delle parti in causa, perchè si tratta, come il sottoscritto di ricercatori indipendenti:


Fatevi la vostra idea non vi fidate di chi ve la propone ben confezionata e urlata, esistete voi e la vostra idea del mondo, il resto non conta.
Anche in questo caso
Sretan Put
Buon Viaggio.

martedì 16 luglio 2019

Sul sentiero delle speranze spezzate


C'è  un filo rosso come il sangue e nero come la notte dura da passare che lega in un modo non facilmente visibile Srebrenica e Vucjak . Se ricordate le immagini di più di 25 anni fa, ricorderete queste persone in fuga da un luogo in cui non era più possibile vivere ma che comunque chiamavano casa, verso l'incertezza assoluta. Questi uomini ma soprattutto queste donne bambini e anziani, perché molti uomini anziani vennero barbaramente uccisi, si avviavano di notte verso Tuzla senza avere la minima idea di cosa avrebbero trovato Le loro vite erano spezzate, come le loro speranze, eppure su quel sentiero sconnesso, a volte improvvisato e pieno di insidie andavano e non potevano fare altro .
Durante il cammino venivano umiliati, offesi, violati, meglio, violate, a volte divenivano bersagli come in una assurda caccia alla volpe di cecchini senza più umanità. Ma su quel sentiero in qualche modo dovevano andare .
Venticinque anni dopo una nuova carovana si muove per le strade della Bosnia stavolta non è Tuzla la meta, sono le città di Bihac e Velika Kladusa  al confine con la Croazia . I disperati stavolta sono afghani, pakistani, siriani, tutti con una sola colpa, essere nati nel paese sbagliato, avere il passaporto sbagliato. La loro marcia sul sentiero delle speranze spezzate è iniziata da molto lontano e poco importa dove sono, poco sanno di un paese ancora tutto da ricostruire soprattutto a livello costituzionale e umano e ancor di meno sanno che venticinque anni fa i migranti erano quelli che adesso li ospitano e che molte di queste famiglie ancora ne attendono il ritorno dalla diaspora. Non sanno che stanno attraversando un paese che ancora non è riuscito a venire a patti con la coscienza delle sue tante anime e che per forza di cose è cieco davanti al loro andare.
C'è ancora qualcos'altro che lega queste due carovane.

Venticinque anni fa bosniaci di fede musulmana vennero rastrellati  e fatti confluire in campi improvvisati dove vennero separati gli uomini abili al lavoro e quindi alla morte, da donne ed uomini anziani e bambini che senza i loro uomini validi erano comunque condannati a vivere una vita a metà.  Anche questo era il fine del genocidio distruggere la parte maschile e fertile della popolazione in modo da interrompere la riproduzione, il dare alla luce la vita. 
Vennero separati uomini e donne dicevo e vennero deportati, quelli che non fuggirono nei campi, con dei pullman dall'altra parte, in quella che, anche a detta degli aguzzini era una zona sicura.
Ma non era così era solo l'inizio di un altro calvario .
Oggi centinaia di migranti sono strati rastrellati dalle autorità a Bihac e deportati in un luogo al confine di tutto in piena montagna dove si arriva difficilmente ed è impossibile scappare guardati a vista dai militari giorno e notte, senza speranza alcuna, solo la muta rassegnazione che ho potuto leggere nei loro occhi e il lampo di sorpresa e improvvisa speranza al vedere arrivare una macchina che non era militare .
Dicono, e le fonti sono accreditate, che solo la Croce Rossa entri saltuariamente nel campo, che le altre Ong si rifiutino di arrivare a Vucjak per una forma di protesta nei confronti della decisione delle autorità.
E intanto questa gente, queste persone, questi esseri umani nati nei paesi sbagliati vivono la loro agonica rassegnazione attendendo qualcosa che potrebbe avvenire mai, l'attraversamento di un confine che noi abbiamo disegnato . Perché noi esseri umani siamo ossessionati dall'idea di disegnare confini, dare nomi alle cose. Come diceva Korzybski ripreso poi dal grande Gregory Bateson  “la mappa non è il territorio e il nome non è la cosa disegnata . E allora per una sorta di un miracolo spero che il territorio fagociti per una volta sola la mappa e che il suo spirito apra la strada a queste centinaia di persone senza speranza.
Immagino una donna di Srebrenica davanti a questo campo di tende posto su un terreno che si dice sia anche parzialmente minato . Come reagirebbe questa donna? E tu mio fortunato connazionale come reagiresti davanti al dolore dell'altro?
Le ultime immagine che vi voglio donare sono queste.
Posto di frontiera di Velika Kladusa c'è una lunga coda per superare i controlli .
Due ragazzi mi si avvicinano vogliono dei soldi, fanno parte di questa parte di umanità che qui vive in un campo preso in affitto dal comune.
Domando loro da dove vengono . Mi dicono Siria , è  probabile che non sia così, almeno per uno dei due.
Do loro pochi Marchi Convertibili , la moneta nata provvisoria e poi divenuta definitiva, quelli che mi sono rimasti, ringraziano, uno di due ha gli occhi rossi, lacrimano, forse per via del freddo della notte o per un’irritazione.  Gli chiedo dove vivono, dove dormono? Mi rispondono alzando le spalle: per terra, nei campi, dove possibile .
Gli chiedo da quando sono li. Mesi è  la loro risposta.
Un altro sentiero di speranza spezzato.
Più avanti un padre con due figli chiede l'elemosina. Ogni tanto da qualche macchina ferma chiamano lui o i figli per dargli qualcosa.
Poi ad un certo punto da una macchina che sta quasi per passare il confine una mano invita uno dei bambini ad avvicinarsi . Un uomo giovane consegna al bambino una busta con sei o sette panini all'olio e alcune confezioni di formaggio. Il bambino abbraccia le buste come se fossero il dono più grande mai ricevuto .
Probabilmente quel pane e quel formaggio erano parte della spesa fatta quel giorno , ma la spesa si può rifare , quell'uomo però non dimenticherà mai, io penso, il volto di quel bambino. Come penso, non riuscirò a dimenticarlo io.
A volte ci vuole così poco a restare umani , piccoli gesti di umanità possono essere fatti da tutti anche da quelli che vorrebbero questa gente fuori da tutto.
Avevo fame e mi hai dato da mangiare , avevo sete e mi hai dato da bere questo ha detto il Dio in cui credo e questo ci rende umani perché in quel momento non importa chi sia la persona che si ha davanti. Un grande cantautore ha scritto: “Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno, non si guardò neppure intorno, ma verso il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”.
Le macchine ripartono mi trovo in quella terra di nessuno tra due posti di frontiera e guardo dallo specchietto retrovisore ancora quel bambino e una carezza del padre.
Ed è davvero troppo non posso fare a meno di piangere .

lunedì 10 giugno 2019

Come ho imparato ad amare i Pearl Jam

Oggi non parliamo di Balcani né di oceani, anche se il gruppo di cui parlo oggi una canzone sugli oceani l'ha scritta ed è meravigliosa.
Oggi parliamo dei Pearl Jam ma non in modo filologico bensì in modo strettamente emozionale.
Faccio outing, non sono un fan dei Pearl Jam della primissima ora. Questo scettro va sicuramente ex aequo a mio fratello e Fabio Cia che da sempre sono fan dei Pearl Jam e c'erano già al concerto del 1996 al Palalottomatica.
Ma fan di questo gruppo di brave persone e grandi poeti e musicisti ci sono diventato col tempo leggendo i tesi delle loro canzoni, seguendo il loro impegno in battaglie sociali e soprattutto osservando il loro dolore davanti alla morte di quei ragazzi venuti ad ascoltarli a Roskilde.
Nel pianto di Eddie Vedder c'era tutta la fragilità di quel ragazzo nudo nella sua intimità davanti alla morte.
Dopo Roskilde il mondo dei Pearl jam non è stato più lo stesso ed è cambiata del tutto la mia percezione del loro mondo e della loro musica.
Ho iniziato a leggere i loro testi perché la musica non mi bastava più e attraverso i testi ho iniziato ad innamorarmi del loro modo di vivere e percepire la musica, l'impegno, la vita.
Così insieme ai Rockers (I due Fabio e Roberto) abbiamo iniziato a girare l'Europa al seguito dei concerti dei Pearl Jam, sempre unici anche quando magari non sono sembrati in grandissima forma.
Chiaramente mi è stato difficile non essere attratto dalla persona e dalla poetica di Eddie Vedder di cui ho imparato a leggere il mondo nascosto tra le righe delle sue poesie in musica.
E così seguendo i Pearl Jam per l'Europa un giorno riuscii a coronare il sogno di incontrare Eddie.
Galeotto fu un ritardo aereo all'aeroporto di Lisbona, due giorni dopo il concerto bellissimo a Zambujeira do Mar.
Ero lì che sbuffavo e giravo a vuoto nell'aeroporto quando da lontano vedo un ometto arrivare accompagnato da un ragazzo di colore che poi avrei scoperto essere la sua "guardia del corpo". Una t-shirt grigia e il cappello del tour. Non so chi mi ha dato l'ardire di avvicinarlo e parlarci (visto che poi non ho avuto il coraggio neanche di chiedergli una foto) facendogli i complimenti per il concerto. Mi rimane nel cuore il suo sorriso e quasi la sua sorpresa nel dirmi "Ah you was there? … great", e la stretta di mano prima di andare via.
Cose che non si dimenticano.
Come l'essere ospiti dello stesso Eddie Vedder nel backstage a Milano (anche se per alcuni motivi non lo incontrammo di persona).
E tra pochi giorni si torna ad ascoltare la sua poesia dopo i monumentali concerti dei Pearl Jam dello scorso anno a Padova e Roma, a Firenze dove due anni fa cadde addirittura una stella cadente.
E sono certo che sarà comunque una serata magica.
Perché di questo abbiamo bisogno di poesia, magia e speranza.
E amore naturalmente in tutte le sue forme.
Ringrazio Dio di avermi fatto vivere in un mondo in cui esistono i Pearl Jam.
https://www.youtube.com/watch?v=MKdQfj6API0

martedì 16 aprile 2019

16 aprile 1993: il massacro di Ahmici

Oggi si commemora uno dei più efferati massacri perpetrati nei confronti della popolazione musulmana della Bosnia durante le operazioni di "pulizia etnica" nella Valle di Lasva, nel villaggio di Ahmici. Il massacro venne perpetrato dalle armate afferenti alla comunità croata residente nella Herceg Bosna. La Corte Internazionale dell'Aja ha condannato per questo massacro alcuni importanti leader dei croati di Bosnia, tra cui Dario Kordic.
Le cifre ufficiali parlano di 116 morti, ma in realtà , come accadde per altri massacri compiuti dalle varie parti in causa durante le guerre civili balcaniche, ancora c'è molto da chiarire e scoprire intorno al massacro.
Nel Novembre 2017, dopo aver visitato la città di Travnik, quasi per caso mi trovai a transitare per il villaggio di Ahmici, visitando il memoriale che ricorda i tragici eventi accaduti.
Ancora molto c'è da scoprire e da fare perché non si dimentichi quanto accaduto pochi anni fa a pochissimi chilometri dal nostro paese, andare a visitare i memoriali è uno dei primi passi, per non dimenticare che anche questo è stato.






lunedì 11 marzo 2019

Tre serbi, due musulmani e un lupo. Alcune riflessioni.




Devo dire che ci ho messo quasi una settimana prima di riuscire a sfogliare il numero di Left , e qualche altro minuto per leggere l’anteprima di questo nuovo libro, che, come i molti scritti o curati da Luca Leone, ci porta ancora una volta nei “buchi neri della memoria” che ancora colmano di tragico mistero la storia recente dei noi vicini di mare balcanici.
Ci ho messo qualche giorno perché, ogni qual volta leggo un libro o un articolo su Srebrenica, Prijedor, Ahmici, e altri meno conosciuti luoghi della memoria, luoghi in cui l’umanità è morta, devo superare un blocco emotivo.
Da circa vent’anni, ma forse anche prima, per me la Bosnia soprattutto, quanto accaduto in gran parte del suo territorio e che spesso la terra ora nasconde forse in modo indelebile, è diventata per me una sorta di ossessione, o forse una missione.
E nelle pagine di questo e di decine di libri di Luca Leone e della Infinito edizioni, scorgo ogni volta la stessa ossessione, la stessa missione.
Che non si dimentichi, che si continui a cercare , scoprire, scavare, alla ricerca non solo dei corpi ma di “brandelli di verità”.
L’ultimo libro di Luca Leone scritto unitamente a Daniele Zanon, racconta la storia di Alma e ci porta  a Prijedor , quella che viene anche conosciuta come la città del ritorno, uno dei luoghi in cui avvennero cose che ci rimandano direttamente agli anni terribili della seconda guerra mondiale e ai campi di sterminio nazisti.
Mai più si scrisse, in tutte le lingue del mondo.
E invece, l’uomo sembra non aver compreso ancora nulla dalla storia e continua, sempre con maggiore efferatezza , a riproporre le stesse terribili metodiche del terrore, con terribili upgrade che la tecnologia fornisce.
Alma ci racconta la sua storia , la storia che è poi la storia di un popolo in fuga, smembrato, dilaniato, massacrato e sepolto. Donne, uomini, vecchie, bambini sono costretti a lasciare il luogo in cui hanno vissuto, amato, sofferto, per i calcoli e le “idee” di pochi “bastardi senza gloria”, capaci di mettere il simile contro il simile, in vicino contro il vicino, in nome di una poco chiara supremazia.
La storia di Alma, riecheggia a storia della mia amica Dzeva di cui ho raccontato qualcosa sul mio blog (https://trabalcanieatlantico.blogspot.com/2018/01/sopravvivere-srebrenica-my-smile-is-my.html), ed è la storia di chi  nonostante tuttosopravvive ad un massacro, perde gran parte della famiglia, degli affetti, dei ricordi, per ricominciare in qualche modo a vivere, perché bisogna sempre e comunque ricominciare a vivere.
Le chiamerei resilienze balcaniche.
Alma e i suoi vittime dell’assurda propaganda serba: “Vi stiamo salvando dai musulmani” dicevano questi uomini in mimetica, lo dicevano ai croati della Krajna, mentendo a loro stessi e al cuore della gente che a loro si affidava volente o nolente.
Tre serbi, due musulmani e un lupo, già solo a guardare la copertina ci riporta quindi a quel passato che speravamo non si ripetesse, nell’era della televisione e di internet, seppure in quel periodo storico fosse solo agli albori.
Ed invece Omarska, Trnopolje, sono solo due dei terribili nomi dei campi di concentramento le cui terribili tracce piagano il territorio della Bosnia Erzegovina.
Martin Pollack, in un suo bello e terribile libro (https://www.kellereditore.it/romanzi-racconti-e-reportage/347-paesaggi-contaminati-martin-pollack.html), parla di Panorami contaminati, luoghi idilliaci che nascondo terribili segreti.
Di questi luoghi nei Balcani del Sud ce ne sono purtroppo molti, e spesso un prato erboso, una collina, lo stesso letto di un fiume, nascondono memorie terribili.
C’è da scavare materialmente per scoprire la verità nei balcani, e bisogna avere un cuore aperto e pronto a comprendere la sofferenza degli altri , e non un cuore di acciaio, come quello dei dirigenti della Arcelor Mittal , che ha rilevato le acciaierie di Omarska, e che non hanno consentito finora ai parenti delle vittime neppure di affiggere all’interno dei cofini della proprietà una semplice lapide a memoria di quanto accaduto, a memoria che anche questo è stato.
Un cuore d’acciaio che si contrappone al cuore e l’empatia e la voglia di verità che da sempre riempiono le pagine dei libri di Luca Leone e dei suoi collaboratori, e che anno dopo anno riempiono sempre di più la mia personale “Biblioteca Balcanica”.
Un libro che spero presto possa essere presentato anche a Roma e che per il suo linguaggio possa raggiungere più persone possibile, sperando possa  renderle consapevoli di quanto accaduto pochi anni fa a pochissimi chilometri dalle nostre coste adriatiche.
I Balcani, infatti, sono molto più vicini di quanto pensiamo, siamo noi che ce ne siamo allontanati sempre di più, dilatando a dismisura quel tratto di mare che separa la nostra piatta terra dalle coste scoscese e drammatiche della Croazia.
Forse creando nuove e incalcolabili distanze pensavamo di aver allontanato chi avevamo abbandonato al proprio destino per via della nostra cattiva coscienza, ed invece a distanza di anni Alma, Dzeva e le altre coraggiose donne balcaniche ci pongono ancora una volta di fronte alla loro lacerante storia.
C’erano tre serbi, due musulmano e un lupo e no … non è l’inizio né di una fiaba, né di una barzelletta.
Ma poi chi è il lupo?
Sarà bello scoprilo nelle pagine di questo libro necessario.
Buona lettura a tutti

mercoledì 6 febbraio 2019

Red Land - Rosso Istria: un'occasione mancata !






Mi definisco un uomo di sinistra, ma non di quella sinistra chiusa e autoreferenziale, che si parla e riparla sopra e finisce per ghettizzarsi nelle proprie idee e ideologie. Ho sempre pensato che essere di sinistra significhi essere anche il più aperto possibile verso l’altro, anche e direi soprattutto, verso quello che la pensa in modo diverso da me.

Poi se ci mettiamo la passione per i viaggi che ti porta anche involontariamente ad aprire l’animo agli orizzonti e non alla storia e alle storie precostituite, ecco che quando ho letto qualche anno fa che si stava per realizzare un film sulle foibe, argomento che avevo iniziato a “leggere” in maniera autonoma, chiaramente mi sono incuriosito e ho iniziato a seguire, anche sulla pagina di Facebook, la difficile genesi di Red Land – Rosso Istria che ho avuto modo di vedere ieri sera e che sarà comunque passato in prima serata sulla Rai venerdì anche se disconosco su quale rete.

Ebbene, devo dire che la visione del film, ma ancor di più il contesto in cui si è svolta, ha lasciato nel mio animo di persona libera e curiosa, una serie di inquietudini che cercherò in breve di descrivere.

Partiamo dal contesto della serata.

Chiaramente non mi sarei aspettato di trovare tra il pubblico esponenti “illuminati” della nostra sinistra o dell’ANPI, ero certo che tra il pubblico sarei stato praticamente l’unico “indipendente” a vedere il film. Ero certo che ci sarebbero stati rappresentati delle associazioni degli esuli, e questo ben venga, è necessario che chi ha vissuto racconti, quello che speravo si evitasse e che diventasse una riunione di un “Circolo di estrema destra monarchica” romana e non solo.

Insomma va bene che la sinistra, l’ANPI, hanno sicuramente delle prevenzioni su quanto il film racconta (ma io onestamente sarei andato a vederlo e mi sarei anche presentato se fossi stato in qualche partigiano o uomo di sinistra presente in sala), e che alcuni atteggiamenti non aiutano il dialogo, ma la sfilata di noti esponenti della destra italiana, a mio parere non fa bene al film né al riconoscimento del dramma degli infoibati ed esuli.

E’ proprio questo contesto che mi ha spinto ad andare via a metà della visione, mi sentivo in qualche modo fuori posto, a disagio. Io che ero venuto a vedere il film con animo aperto e sicuro di vedere un prodotto che tentasse di unire più che dividere, ero costretto ad ammettere di aver riposto nel film e in chi lo ha realizzato troppe aspettative.

Eccoci al film.

Iniziamo da uno dei pregi: la presenza di un grande attore come Franco Nero nel cast. La sua presenza nel film rende degno di nome lo stesso. Il ruolo che interpreta, un professore disilluso e sempre in bilico tra riconoscimento del ruolo del fascismo e ammissione degli errori dello stesso, lo rende umano e vero.

Tanto è vero e umano che purtroppo gli altri attori sembrano essere lì quasi per ad inscenare un dramma ad uso esclusivo di una parte politica e sociale.

E badate che questo giudizio vale anche per tanti film realizzati in modo acritico sui partigiani e sulla resistenza.

Ecco è proprio l’acriticità e il punto di vista del tutto parziale a rendere il film una sconfitta, un’occasione mancata.

Come in ogni film di guerra ci sono tutti i topos e le figure ricorrenti, in questo caso naturalmente a ruoli invertiti. Mentre nei film sulla resistenza il partigiano è il buono, l’angelo liberatore, quasi un messia, in questo caso queste caratteristiche le hanno i “fascisti buoni” abbandonati dall’Italia e dai tedeschi al massacro. Mentre quasi come bestie senza alcun lato umano vengono dipinti i partigiani. Ma vi chiedo, se finalmente dopo tanti anni di ricerche storiche e antropologiche, abbiamo scoperto anche la figura del “tedesco buono”, è possibile che non ci fosse un solo partigiano titino, con appena un po’ di morale?

E poi perché non si stigmatizza con forza il ruolo nefasto svolto dai tedeschi e il governo ustascia della Croazia, in teoria alleati degli italiani, occupanti la Slovenia e la Croazia, che nulla fecero per gli italiani d’Istria? Se ne accenna ma da quella parte “bestie” non se ne sono trovate.

In tutto questo ciò che finisce davvero per essere messo in secondo piano, e usato in modo strumentale, e in questo modo svilito, è proprio il dramma di Norma Cossetto, e di questo me ne dispiace molto.

Insomma Red Land non è Magazzino 18, dove Cristicchi con la sua grazia e la sua ricerca storica e umana, ha avuto il pregio di avvicinare anche chi come me era scettico al dramma delle foibe.

Red Land è un film di parte, e in questo “partigiano”, in cui vengono canalizzate le rabbie dei tanti torti subiti anche dallo stato italiano contemporaneo.

Un film che quindi non può che portare ulteriore distanza tra le parti.

Per quanto mi riguarda sto cercando di elaborare la mia delusione, per il film in sè e per il contesto in cui è avvenuta la visione.

Per i motivi che ho fin qui esposto, ritengo ancor di più necessario che delle foibe e dell’esodo si parli, che la gente, tutta, vada a visitare la Foiba di Basovizza e il Magazzino 18, e che si riesca ad arrivare al giorno in cui quanto accaduto non sia solo la memoria di una parte d’Italia ma del paese tutto.

Perché non ci siano più alibi e nessuno né da sinistra, né naturalmente da destra, possa sfruttare questo dramma a uso e abuso politico.

Vi invito a vedere il film e a farvi una vostra idea e se volete ne parliamo anche all’infinito.

Buona visione … critica.

lunedì 4 febbraio 2019

Tra memoria e abbandono: Il Magazzino 18

Un anno fa proprio in questi giorni realizzavo in piccolo grande desiderio che portavo nel cuore da quando avevo dapprima letto e poi visto quella ricerca certosina e appassionata sull'esodo che è lo spettacolo "Magazzino 18" di Simone Cristicchi.
Mi spingeva, come mi spinge sempre nei miei viaggi, la voglia di vedere e comprendere in prima persona, recarmi nei luoghi e farmi raccontare dal loro spirito la versione di coloro che hanno avuto pudore nel raccontarla.
Visitare il Magazzino 18 è difficile, nell'entrare nel porto si firma una liberatoria in cui si dichiara che non si farà uso delle foto e dei video per reportage professionali o pubblicazioni su blog o siti internet, perchè il luogo in cui si entra è soggetto a servitù militare.
Poi è difficile per quello che ti lascia dentro.
Una situazione di abbandono e allo stesso tempo di forte memoria l'ho percepita in modo così forte solo a Prypiat, la città abbandonata dopo l'esplosione del reattore n. 4 della centrale nucleare di Chernobyl.
Anche lì, come nel Magazzino 18, si percepisce il dramma di chi ha dovuto lasciare in fretta e furia i luoghi in cui ha vissuto e in cui sperava di vivere in futuro.
Non mi interessa se penserete che la loro vita fosse sbagliata, che fossero quelli dalla parte sbagliata, mi interessa solo comunicarvi il senso di abbandono, di perdita che danno le masserizie accatastate , abbandonate nei freddi stanzoni del Magazzino.
Un Magazzino che probabilmente non diventerà mai un museo perchè non è quello il fine, ma museo lo è già adesso, come lo è Prypiat, memento della caducità della vita e del destino umano.
E allora le foto che vi posto potrebbero essere state scattate nel Magazzino 18 o chissà a Prypiat nella scuola abbandonata, o in uno qualunque dei posti in cui semplicemente la vita è fuggita e mai più vi farà ritorno.
Siate memoria, coltivate memoria, fatevi memoria, anche quando questa memoria può essere "pericolosa", perchè solo visitando i luoghi in cui gravi fatti sono accaduti avrete l'occasione di ascoltare la voce, lo spirito dei luoghi.
La terra, l'acqua, il vento, gli elementi spesso comunicano più di ogni libro letto, ogni film visto.
Se potete visitate il Magazzino 18, senza pregiudizi, solo per ascoltare storie che nessuno vi potrà più raccontare.



martedì 22 gennaio 2019

27 gennaio 20??: il giorno delle conchiglie

Il mondo è cambiato da quando tu sei andata via mia cara.
Il mondo non è più quello di una volta.
Pensa che il 27 gennaio, ti ricordi, si festeggiava il giorno della memoria.
Ebbene ne abbiamo discusso a lungo, serviva davvero? Era davvero necessario individuare un giorno nel calendario in cui ricordare quello che sarebbe stato inconcepibile dimenticare?
Noi ne discutevamo, loro con il tempo ci hanno tolto ogni discussione, ogni dubbio.
Ci hanno detto: "E' un periodo storico da superare ... basta con queste storie ... siamo un nuovo paese che sta costruendo la sua nuova memoria ... la sua nuova storia ... basta con questi relitti del passato ... chi ha bisogno di ricordare una guerra? Uno sterminio? Non ci saranno più stermini".
Così come per incanto sparirono il 27 gennaio, e nella memoria dei pochi giovani ancora interessati a comprendere da dove venivano, anche quel poco interesse per le "guerre dei loro padri".
Nel mondo che i nuovi tecnocrati stavano per costruire non c'era posto per il passato, si guardava al glorioso futuro della nazione, un futuro di onestà, efficienza e trasparenza, in cui non ci poteva essere posto per l'errore, per qualcosa di così drammatico da rendere fragili e trasparenti le basi della nuova patria, del nuovo neo-pensiero.
Alcuni provarono a dire: " Ma ormai il 27 gennaio è divenuto il giorno della memoria di tutte le malefatte della storia antica e recente ... ha un valore universale ... e poi allora il 5 febbraio?"
Già, il 5 febbraio, vi ricordate quante polemiche?
Cosa un giorno per ricordare le foibe? Ma siete pazzi? Ma cosa siamo diventati un paese fascista che ricorda le sue vittime per mano dei "volenterosi liberatori di Tito"? Mai un giorno del ricordo. Cancellare l'esodo, cancellare le foibe, cancellare la memoria ... fascisti, comunisti, foibe, olocausto, non c'è posto per tutto questo nel mondo dell'onestà e dell'ottimismo che ci aspetta".
Anche il 5 febbraio ... stop ... archiviato, stesse motivazioni, dobbiamo andare avanti, andare oltre, non importa che ci fossero delle persone dalla parte sbagliata, ma esisteva poi una parte sbagliata? Sbagliata rispetto a cosa, rispetto a chi? Chissà ne avremmo potuto continuare a discutere però ...
Ormai destra e sinistra, bella ciao e faccetta nera non esistono più, ci dissero, non c'è più necessità di ricordare nulla di così gravoso, siamo un popolo felice, che sta vivendo una sua rinascita, che ci pensi la storia, quella seria a dare un giudizio su questi aspetti, che noi si pensi ad altro, che senso ha insegnare storia nelle scuole? A chi serve?.
Insomma mia cara, non era più necessario ricordare, ci eravamo ammazzati tanto, in tutti i sensi per trovare il senso di quanto accaduto e ora niente ... ci avevano detto che eravamo sbagliati.
Disse un grande scrittore: "Grazie alla nostra società interconnessa ... in cui tutto viene mostrato ci salveremo da una nuova Auschwitz perchè una cosa così grande, così mostruosa, non potrà più essere nascosta".
E' in parte ci prese: tutto ci venne mostrato, in tutti i modi, in tutti i sensi, ma il nostro cuore senza storia e senza cultura, figlio solo del "culturame internauta" divenne ben presto assuefatto al dolore, alle immagini di un dolore immenso che riempiva il mare di anime e la terra di corpi, e iniziammo a dimenticare di essere uomini.
Bastava chiudere i porti, chiudere gli aeroporti, chiudere le porte, le finestre, gli occhi e il cuore ed ecco tutto era risolto, semplicemente tutto quello che accadeva fuori non era altro che un film lontano, una serie di Netflix magari.
Gradualmente la gente iniziò a dimenticare mia cara, ma nonostante tutto ci fu qualcuno che nel buio, nel vuoto iniziò a gridare: " Ma ve la ricordate quella poesia di Primo Levi?"
"Primo chi? ... Prima gli italiani ..." gli rispose qualcuno.
Ma come : " Prima vennero a prendere gli ... ah no scusate era di un pastore tedesco ... no... non un cane ... un uomo ... Neimoller mi pare si chiamasse:
"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perchè mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare ..."
Un uomo iniziò a gridare: " Ma insomma ve la ricordate ?"
Poi quello stesso uomo scosse un altro uomo che guardava il mare: "E tu te lo ricordi cosa succedeva qualche tempo fa? Persone di colore, lingua, religione diversa sbarcavano su queste sponde ... come diceva quel cantante, De Andrè ... genti diverse venute dall'est dicevano che in fondo era uguale ... credevano ad un altro diverso da te ... ma non mi hanno fatto del male ... "
Gridava: "Dove sono adesso tutte queste genti?"
Questa gente mia cara iniziava di nuovo a prendere coscienza, divenne di nuovo di moda essere partigiani "partigiani della bontà" li chiamavano, e iniziando a ricordare ricominciarono a ricostruire memoria.
Un uomo venne visto sulla spiaggia, un lenzuolo al suo fianco, mentre, mormorando, accumulava grosse conchiglie fino a formare una sorta di tumulo.
Un uomo che si avvicinò, noto per prima cosa che il lenzuolo era pieno di nomi scritti a mano con calligrafia incerta, poi intuì che il mormorio che accompagnava la posa della conchiglia altro non era che uno dei nomi presenti nella lunga lista.
Per ogni nome una conchiglia.
L'uomo s'inginocchiò accanto all'altro e iniziò anche lui a formare un cumulo, per ogni nome una conchiglia.
I due si guardarono: "Sa che giorno è oggi?".
L'altro con indecisione: " il 27 gennaio?"
L'altro sorrise e annuì col capo: "Buona giornata delle conchiglie".
Una conchiglia per ogni persona perduta nel cammino verso un futuro migliore, una conchiglia dopo l'altra, e l'altra ancora. E altri uomini e donne.
E non si sentirono più soli.


Le parole del pastore Neimoller hanno ispirato almeno due canzoni, almeno queste ho trovato, la prima è del cantautore folk Christy Moore, la seconda del gruppo punk Anti Flag:

Yellow Triangle: Christy Moore

Anti Flag Emigre




Beldocs festival tra memoria e attualità? E se quello che vediamo non fosse davvero "fiction"?

Si è aperto mercoledì con la proiezione di "Another Spring", film serbo in prima visione su come la Jugoslavia nei primi anni se...