mercoledì 9 dicembre 2015

La vita sociale delle parole


Già prima che succedesse quel che è successo a Parigi, ultimo ma non ultimo atto di terrorismo e bieca violenza da parte di persone che non possono essere considerate parte dell’umanità come noi la concepiamo, ho iniziato una profonda riflessione sull’importanza delle parole, sul come vengono pronunciate in che contesto, e da parte di chi.

Nell’ultimo anno ho iniziato, infatti, una profonda riflessione sull’impatto che pensieri, idee e parole pronunciate da persone che si ergono volenti e/o nolenti a opinion leader , hanno su quella parte della popolazione che si riflette nelle posizioni dell’oratore, e che di questi condivide un’immagine quasi profetica o messianica.

Ho atteso che fosse tutto più chiaro nel mio pensiero e ho atteso altresì che finalmente arrivasse quell’illuminazione sul titolo da dare a questa mia riflessione. E un giorno, in viaggio, perché quasi tutto si rivela nel viaggio, ho iniziato a ripetere a me stesso questa frase: “ la vita sociale delle parole”.

Riecheggia un po’ il titolo di un meraviglioso film di qualche anno fa, “La vita segreta delle parole”. Il film tratto da una storia vera, portava lo spettatore a riflettere sul peso delle parole e dei silenzi, e  proprio dal peso delle parole voglio iniziare questa mia riflessione.

Qualche tempo fa ho “osato” guardare da un punto di vista leggermente differente dal pensiero mainstream, la nota vicenda legata al processo a Erri De Luca. La vicenda è ben conosciuta,  per alcune frasi dette in determinati contesti e che in qualche modo sembravano un’istigazione da parte dello scrittore all’esecuzione di un atto comunque violento nella direzione e nell’obiettivo, l’autore è stato portato dinanzi ad un tribunale. Pur ritenendo un’aberrazione portare le idee a  giudizio, voglio riflettere sul peso di quelle parole, questo perché spesso si dimentica che non esiste solo una violenza contro le persone ma anche verso le cose e verso i simboli. Non entro più nel merito se sia giusto o meno boicottare la TAV e se la TAV stessa deve esistere, dovremmo riflettere preventivamente sul concetto stesso di boicottaggio prima di chiederci se davvero il mondo sarà migliore con o senza TAV.

Quel che mi urge è chiarire la mia posizione che altro non è che un passaggio ulteriore nella mia riflessione sulla vita sociale delle parole.

Ecco cosa sono le parole, in esse c’è la vita” diceva Salvatore Mignano mio amato professore alle superiori e grande scrittore. Ed è così nelle parole c’è la vita ed esse vivono nella vita di ogni giorno, nella percezione e nell’interpretazione che ne viene data.

Hanno appunto una vita sociale.

Quello che volevo esprimere quando ho detto che non mi sentivo del tutto solidale con Erri De Luca, non era riferito al non sentirmi solidale nel momento del giudizio, ma alla mancata valutazione da parte dello scrittore dell’impatto sociale delle sue parole in un contesto com’è quello della sinistra cosiddetta antagonista che vive di varie e differenti anime non tutte definibili “pacifiste” e che ,penso, un profondo conoscitore della vita e dalla società come De Luca dovrebbe conoscere bene.

Quello che contestavo era proprio questo: la mancanza di responsabilità, di percezione della vita sociale di quelle parole.

Ora mi immagino la prima reazione: ma allora cosa vorresti che si imbavagliassero le idee, che si tornasse alla censura ?

No di certo, ognuno è libero di dire ciò che pensa ma deve prefigurarsi  che le sue parole possano generare reazioni anche di una certa pericolosità sociale.

Il discorso che facevo riguardo Erri De Luca vale per tutti, ma quello che mi indisponeva era che da una persona con un’esperienza anche dolorosa di vita come lui, mi sarei aspettato più riflessione sul senso delle parole e sul contesto.

Mentre poco ci aspettiamo da uno come Salvini, delle cui istigazioni alla violenza e all’apologia di qualunque cosa spesso ridiamo senza problemi ( ma su cui forse dovremmo riflettere di più) dobbiamo aspettarci da chi in un modo o nell’altro si erge a “profeta” una maggiore responsabilità, una maggiore sensibilità.

Se le stesse frasi dette da Erri De Luca le avesse pronunciate un esponente di Casa Pound saremmo tutti d’accordo che si trattava di un’istigazione a delinquere etc … ma i profeti e le loro parole non si toccano e non si criticano per via proprio del peso delle parole, cariche di un significato ulteriore.

Purtroppo ultimamente in Italia di profeti ne abbiamo fin troppi e il rischio di proselitismo acritico esiste. E mentre Erri De Luca è uno scrittore che comunque ha scritto pagine meravigliose, ci sono alcuni profeti del quartierino che nel loro italiano rabberciato e con il loro cattolicesimo da operetta stanno tirando al loro mulino l’italietto medio che ha bisogno, come il cane, del padrone che lo tira nei momenti di difficoltà.

Andiamo avanti.

Quando ho visto e letto le vignette di Charlie Hebdo un brivido mi è passato nel corpo. Blasfeme? Non so se definirle così, di sicuro irrispettose e pesanti. Perché si può e si deve portare all’attenzione quello che è a nostro modo di vedere sbagliato in sistemi e culture che noi consideriamo “altre” ma sempre tenendo conto del contesto in cui queste vignette, queste parole sono lette, non possiamo pensare alla satira come ad un prodotto costruito per noi occidentali e pensato per la nostra sola fruibilità. Essendo il nostro mondo interconnesso, ogni parola o gesto ha una sua importanza e una sua rilevanza.

E allora nel momento in cui io scrivo o disegno qualcosa che parla di Maometto o di Allah devo sapere che nel Corano è scritto che Dio non può essere ne pronunciato ne disegnato e che quello che per noi può essere una leggera vignetta di satira diventa un macigno tirato sulla fronte di milioni di persone che hanno una sensibilità diversa rispetto a ciò che è sacro.

Chissà che una risata in meno, forse, non avesse portato ad una reazione meno violenta.

Allora direte: “vabbè allora ogni volta che apro bocca o scrivo qualcosa mi devo mettere a pensare se questo offende qualcuno o qualcun altro o forse pensi che in qualche modo se la siano cercata offendendo l’islam? Giustifichi gli attacchi terroristici come strumento di difesa?”.

La risposta è no, decisamente no.

La violenza è violenza senza nessuna distinzione e senza nessun ma o però. Rimane il peso delle parole, un peso enorme e la mancanza di rispetto verso quella parte di mondo islamico che non prende in mano un fucile o una bomba , ma che sicuramente può essere “offesa” dalla rappresentazione grafica del Profeta.

Un’altra eccezione che potreste fare è questa: “ Ma perché noi dovremmo avere tutto questo rispetto nei loro confronti , permettergli la costruzione di moschee centri religiosi etc, mentre loro non ci consentono di esprimere la nostra religione nei loro paesi, anzi la perseguitano sanguinosamente? Non dovremmo pretendere lo stesso rispetto?”.

Questo discorso non ha senso e porta all’inasprimento dell’idiozia, questo perché io non posso pretendere dall’altro che faccia quello che io vorrei, questo sia nella vita personale che in un contesto politico sociale religioso. L’unica cosa che posso fare è rispettare l’altro senza aspettarmi che l’altro rispetti me. So che sembra qualcosa di improponibile, ma penso che se io rispetto l’altro questi lo noterà e finirà per rispettare me.

E’ difficile ma non impossibile. E il maggior rispetto risiede nella gestione della nostra comunicazione, della proposizione di idee.

Fin quando si ascolteranno falsi profeti come la Fallaci e ipocriti convertiti coma Magdi Allam, il cui unico messaggio è un violento disprezzo nei confronti del diverso, non ci si muove di un passo, anzi si fanno solo passi indietro.

Altra obiezione: “Ma allora il male siamo noi e non l’islam? E quello che viene fatto ai cristiani in Africa, in Nigeria per esempio?”.

In riferimento a questo mi piacerebbe introdurre un altro punto di riflessione.

C’è una parte della nostra società che anche solo con mezze parole esprime spesso un concetto che umanamente è imbarazzante.

Una parte dei nostri concittadini mi sembra dia un peso differente ai massacri che avvengono nel resto del mondo e in particolare nei paesi in cui ad essere perseguitati non sono islamici, ma bensì cattolici e cristiani.

Questo perché sulla fede cattolica in particolare abbiamo costruito strutture e sovrastrutture che ci portano a vederla come qualcosa di morto, marcio. Un luogo in cui vive il male, lo sfruttamento anche quello sessuale, come se questo accadesse solo nella chiesa cattolica e non anche in altre forme di religiosità.

La struttura Chiesa-Vaticano incarna quel che per noi è la Chiesa. Ma la Chiesa Cattolica è anche altro e spesso lo dimentichiamo, perché finiamo per considerare il cristiano che muore in Africa come un martire di serie B, perché convertito da una Chiesa che noi mal sopportiamo. L’Islam è puro anche nelle sue perverse manifestazioni, il Cattolicesimo sporco e corrotto vale poco come i suoi martiri, persone di serie B.

Un’esagerazione? Uno sbaglio di prospettiva? E allora sbagliamo anche a pensare che ci siano morti di serie A e di Serie B anche negli attacchi terroristi che stanno insanguinando il mondo per mano dell’Isis. Non c’è la percezione netta forse che fino a quando colpivano il “nemico interno” o quello appena appena esterno, vedi Siria, a noi poco importava, ma Parigi è Parigi?

La vita sociale delle parole dicevo.

Se si studiano i social networks, si vede come ci sia una gara alla strumentalizzazione da una parte e dall’altra, si estrapolano frasi o pezzi di frasi da contesti letterari più complessi, per costruirci su un pregiudizio su cui si basa un’idea e in alcuni casi la linea di un partito politico o movimento.

Le parole travisate e reinterpretate assumono un nuovo peso, un nuovo e irrimediabile fraintendimento.

Forse ho scritto troppo e forse anch’io non ho tenuto conto del peso delle parole, ma quello che dovremmo pensare quando scriviamo qualcosa, fosse anche uno status o un commento, è questo: sto per dire questa cosa, magari per me è importante perché esprime la mia rabbia , la mia insoddisfazione nei confronti di qualcuno o qualcosa, ma che impatto avrà? Posso rinunciare all’offesa per contribuire ad una dialettica di pace? Posso frenare la mia rabbia giusta o sbagliata che sia per cercare un dialogo?

Mi sembra che da questo possa partire una rivoluzione, che è quella di sempre, la rivoluzione dell’ascolto e dell’empatia.

L’altro non corrisponde? Io non posso essere nella sua testa e nel suo mondo.

Se la soluzione, l’unica possibile è scaraventargli addosso bombe e ricambiarlo con lo stesso pane, io non ci sto.

Siamo sicuri che se davvero sentissero il nostro appoggio morale e umano senza preconcetti o sovrastrutture, i tanto vituperati islamici moderati non si sentirebbero più forti nella reazione? Se invece di rivolgere loro parole di scherno verso il loro profeta , verso ciò che loro considerano sacro, cercassimo di costruire con loro un nuovo umanesimo?

Altrimenti l’alternativa è quella che conosciamo , e le bombe purtroppo pesano molto più delle parole e lasciano danni indelebili, dovunque scoppino e chiunque uccidano.

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