lunedì 30 gennaio 2012

Tra una partenza e un ritorno!

Tra una partenza e un ritorno, perduto tra i balcani e le isole baleari, con un romanzo che si aggroviglia in testa da anni e che pian piano sta lasciando il limbo ma che ha sempre finali diversi, una tesi di dottorato da mettere a posto per una futura pubblicazione, cerco un posto per i mille altri progetti. Ci sarebbe quella riflessione su Mecavnik il villaggio creato da Kusturica qualche anno fa e che ho finalmente avuto la fortuna di visitare. Ci sarebbe da raccontare della neve, del fumo delle mille sigarette, dei film, della famiglia kusturica, ma mi rendo conto che a Roma non riesco a scrivere. la testa mi si blocca, si scompagina il cervello e vorrei essere altrove alla ricerca di altre storie a cui dare un volto.
Altrove già ma dove? Qual'è il mio posto nel mondo? Ho davvero un posto? E' necessario davvero averlo, o è meglio come i nomadi viaggiare fare della precarietà un arte, un modo di affrontare la vita?
Altrove oggi qualcuno è più libero tra una partenza e un ritorno.

lunedì 16 gennaio 2012


Amo Sarajevo per il caffè bosniaco, lungo, amaro, come a volte può essere la vita,
Il caffè con il consenso come lo chiama Kusturica, da bere all’aperto nel  centro della Bascarsjia aspirando anche involontariamente il fumo di mille sigarette. Qualcuno ha detto che se non li ha uccisi la guerra i bosniaci forse un giorno lo farà il fumo…
Amo Sarajevo per i suoi ponti sulla Miljacka. Una volta che sono stato lì e li ho fotografati tutti, poi ho perso la cartella con i file delle foto, sarà per quello ma ogni volta li ripercorro nella memoria e sembrano sempre più belli.
Amo Sarajevo perché su uno dei ponti c’è la targa che ricorda Moreno Locatelli che ha sfidato con i fiori in mano gli sniper e purtroppo ha perso la sua battaglia di pacifista ma ha segnato per sempre la vita di Sarajevo.
Amo Sarajevo per la Carsija, il mercato, le botteghe artigiane, i suoni, i profumi del caffè e delle spezie, il burek, i cevapcici, la birra, e la rakija.
Amo Sarajevo per il canto del muezzin che si confonde con il suono delle campane, per le fontane delle moschee, per la fontana Sebilj dove se bevi l’acqua è certo che un giorno ritornerai in quella che era chiamata la Gerusalemme d’Europa.
Amo Sarajevo per la gente aperta, sincera, vitale, nulla e nessuno è riuscito a piegarla.
Amo Sarajevo per la bellezza delle ragazze mai scontata, sempre poetica, frutto di quei contrasti che rendono unici i volti e gli sguardi.
Amo Sarajevo, perché l’uomo bosniaco sa anche piangere.
Amo Sarajevo perché la donna bosniaca sa essere forte e tagliente come una pietra.
Amo Sarajevo perché quando sono a Belgrado penso che però, in fondo, Sarajevo non è così lontana.
Amo Sarajevo perché nel tempo mi ha fatto conoscere delle persone stupende:
Bruno Palestra, presidente degli italiani di origine trentina nati e vissuti in Bosnia e che dopo uno scambio di mail ho incontrato per caso su una delle colline di Sarajevo, mentre spiegava a dei ragazzi italiani cos’era successo durante la guerra e quanto fosse forte il potere della propaganda
Marija e Kumjana con cui ho scambiato idee e ho avuto modo di vivere una grande edizione del Pravo Lijudski il festival del cinema sui diritti umani
Taisa, Anida, Amra, Samra ed Elma, con cui ho vissuto una serata incredibile a Skenderija gustando cinque litri di birra e la leggendaria partita Portogallo -  Bosnia. Porto le immagini i suoni e i colori di quella festa nel cuore e li ricordo come se non fosse passato che un attimo
Semir Blazevic. A Doboj al cambio dei vagoni del treno espresso Belgrado - Sarajevo , dopo aver cercato invano qualcosa da mangiare, con l’incubo di perdere il treno ritorno nel mio scompartimento e trovo quest’uomo in mimetica che dopo un po’ in Inglese si presenta e mi chiede da dove vengo. Si chiedeva chi fossi perché mi aveva visto spaesato nella stazione. Gli dico che ero sceso per prendere qualcosa da magiare e Semir per tutta risposta mi dice che ha preso qualcosa in più e che lo vuole dividere con me. Mi racconta la sua storia di guerra e di pace e di ogni paese che attraversiamo mi traccia la mappa etnica. Gli sono debitore di una pitta e di nuove conoscenze
Jovan Dijviak, che purtroppo ho conosciuto solo telefonicamente. Un giorno ero all’Università e ricevo una telefonata da un numero straniero, quando rispondo dall’altra parte c’è un uomo che mi dice che chiama da Sarajevo e mi chiede se parlo francese. Gli dico di no e allora chiama una ragazza che traduce quello che ci diciamo. Un grande uomo, un eroe di Sarajevo che spero un giorno di poter conoscere di persona. Forza Jovan
Emy che mi ha dato contatti utili per inseguire il mio sogno che si chiama “Transbalkan Express” e a con cui, spero, sia nata una bella e forte amicizia.
Tutti quelli che chiamo italo-bosniaci, o bosno-italici, spinti nella nostra penisola dalla guerra o da altro destino e che vivono tra due mondi, due culture, due tradizioni, due lingue, da cui ho imparato quella forma di “saudade balcanica” che non riesco a definire
Amo Sarajevo per Ilidza e Vrelo Bosne, per la natura che nasconde i segni di una guerra, forse, mai veramente terminata
Amo Sarajevo per Lukavica, l’altra Sarajevo, la porta verso la Serbia
Per questo amo Sarajevo e per mille altri motivi che non riesco a scrivere e non riescono ad emergere dal mio cuore.
La amo così tanto da sperare che mai il turismo idiota la possa veramente scoprire e che vadano alla sua ricerca solo persone capaci di saper trovare il tesoro della poesia tra i sassi della città vecchia, tra i segni di una guerra e di una pace e il cemento di palazzi che nonostante tutto si ergono orgogliosi verso il cielo.

lunedì 9 gennaio 2012

Trencin's memories

Mi dispiace che non possa scrivere questo post in slovacco, non sono mai riuscito ad imparare la lingua di questo paese che pure per anni mi ha ospitato per settimane, addirittura mesi, ma ne amo la musicalità e la dolcezza.
Ci sono giornate come queste in cui ogni cosa sembra pesare, ogni piccolo ostacolo una montagna da scalare, in giornate come queste ci si rifugia in quel luogo dell'anima in cui vivono i ricordi più belli e che il grande fumettista poeta De Matteis riprendendo il concetto del fanciullino di pascoli, definisce il "bambino dentro".
Da quel luogo "dove tutto era puro e splendente come il cielo azzurro" come urla Axl Rose in Sweet Child of Mine, ho tirato fuori queste dolci memorie e immagini che vi voglio donare.
Anche il viaggio per Trencin inziava con un treno da prendere, l'Espresso notturno per Vienna. Da lì per anni ho preso un treno che in poche ore portava a Bratislava e da Bratislava ancora un treno verso Trencin. Un viaggio lunghissimo pieno di aspettative e di attese.
Quanti ricordi, il pullman di ragazzi e famiglie cecoslovacche nel luglio del 1991 a Gaeta, una giornata intera con loro, la scoperta della diversità, di una tenerezza senza definizioni per Lucia. Le mie lettere in inglese tradotte a Lucia da Jana e quelle in tedesco di Lucia tradotte in inglese per me sempre da Jana. Un dialogo che andava oltre la difficoltà lingustica, che superava muri.
Poi il primo viaggio nel 1992, con Clara e Rosy a cui si sarebbe poi unito Michele, e l'arrivo del resto del Gruppo degli italiani, e la nascita di un grande amicizia con Annamaria e Salvatore, Bystrik, Katka. Nel mezzo la mia operazione di appendicite nell'ospedale di Trencin, Jana e la sua lotta contro la sclerosi, l'amore per un paese in cui inevitabilmente avevo lasciato anche fisicamente un pezzo di me.
E forse un amore che nasceva, gradualmente e che negli anni sarebbe stato reso vivo da lunghissime lettere e strazianti addii. Lei si chiamava Martina, e quello che ci ha legato non l'ho ancora ben capito.
Ma Trencin, il suo castello, le famiglie Bezak, Bernatkovi, Graffingerovi erano nel cuore.
Un nuovo viaggio l'anno successivo ancora momenti di paradiso e d'amore poi i miei viaggi solitari.
Ricordo un lungo viaggio a Pasqua, il freddo non solo quello fisico,qualcosa che gradualmente finisce, i cartoni animati visti in tv insieme a Siska prima della partenza.
Poi un  lungo oblio, e il ritorno negli anni 2000 prima insieme a mio fratello e Stefano, poi insieme a Francesco, poi una volta ancora da solo per rivedere Bystrik, Katka e Martina.
Poi ancora un oblio, ma nel cuore sempre di più la voglia di rammendare il filo che mi legava ad una delle mie "patrie elettive".
Quasi impossibile fino all'avvento di facebook, questa immensa rubrica telefonica e collezione di indirizzi dove cercare  persone e ricordi che pensavo persi nella memoria.
Ritrovo una vecchia agenda, all'interno gli indirizzi delle famiglie di Trencin. Provo a cercare. Trovo prima Monika poi Majka, poi Tomas poi Siska, si proprio lei la piccola Siska.
E il viaggio ricomincia stavolta in aereo fino a Bratislava con Clara per farle consocere quel pezzo di mondo di cui tanto ha sentito parlare.
Poi il mio solitario viaggio nella memoria, il treno Bratislava Trencin, l'arrivo in stazione con il fiume Vah sulla sinistra, s'intravede anche lo Stadio del Dukla Trencin. E li rivedo dopo diciotto anni, mi aspettano lì sul binario e il tempo non sembra essere passato. Due giorni incredibili ad inseguire ricordi tra le case dei Bezak e dei Graffingerovi, la promessa di rivederci ancora. Miro che mi dice: " Non far passare altri diciotto anni potresti non trovarci più...".
L'addio alla stazione dove mi accompagnano Miro e Jan, un addio tra uomini che trattengono l'emozione.
Mentre il treno corre veloce verso Bratislava mi chiedo dove sono ora Bystrik, Katka e Martina, purtroppo non sono riuscito a incontrarli. E dove è Lucia che non ho mai più incontrato per un gioco del destino ma che un giorno, tanti anni fa, ha inviato a me e Rosy la sua partecipazione di nozze.
Magari in un altro viaggio raggiungerò anche loro.
Quello che è certo è che il fiume Vah, il Detske Mestecko, il Castello, la casa nella campagna di Kubra, l'Ospedale di Trencin, non potrò mai dimenticarli e faranno sempre parte di quel luogo in cui nascondersi, rannicchiarsi quando fuori e dentro fa freddo.
Vi lascio con una canzone che ci sta tutta e che proprio di quel luogo parla e di una dolce bambina....










venerdì 6 gennaio 2012

Transbalkan express: l'idea !

Doveva essere il 2002 , un'estate torrida , e io e Stefano dopo essere stati a Bratislava e Trencin l'anno precedente insieme a mio fratello, decidiamo di visitare Budapest per poi andare Bratislava per qualche giorno. Non ricordo bene il perchè, non so se eravamo appena arrivati o stavamo partendo da Keleti pu, una delle stazioni di Budapest, quando arrivò stancamente un treno. Locomotiva e tre vagoni, nient'altro di più. Ma quello che ci colpì di più fu la varietà umana che scese da quel treno. Il controllore era un ometto basso con il naso aquilino e i capelli un pò lunghi e unti, la gente che scendeva dal treno sembrava non avere apparentemente nulla in comune: ragazze bionde e bellissime, ragazze brune e ugualmente bellissime, contadini, signore di una certa età con lo sguardo torvo, e valige tenute insieme con lo spago. Sembrava una scena d'altri tempi, vissuta sicuramente dai nostri immigrati. Tutto l'insieme ci rubò un sorriso ma io iniziai fantasticare sulle storie di vita di queste persone. Dopo qualche minuto andando a curiosare sull'orario dei treni, scoprimmo che quel treno si chiamava transbalkan express e che partiva da Tessalonicki (Salonicco) , attraversava la Serbia, la Croazia, l'Ungheria sfiorava l'Ucraina per poi finire la sua corsa a Bucarest. Quasi in viaggio ai confini dei Balcani. Quella gente così diversa in qualche modo mi sembrava rappresentare la ricchezza e la diversità umana dei Balcani, luoghi dove tutto o quasi è possibile, anche riemergere da una lunga guerra è riscoprirsi comunque fratelli, cercando di ricostruire una storia comune. Sogno da allora un viaggio sul Transbalkan express, ma a modo mio ho seguito il suo tragitto negli anni a tratti e quelli che seguiranno sono racconti, immagini, storie raccolte sulla rotta del Transbalkan express.
Fin dal viaggio circolare dell'anno successivo con Francesco.
Ma questo primo capitolo non può che essere dedicato a Stefano con cui ho visto arrivare il Transbalkan express in quella solare giornata estiva budapestina.


Beldocs festival tra memoria e attualità? E se quello che vediamo non fosse davvero "fiction"?

Si è aperto mercoledì con la proiezione di "Another Spring", film serbo in prima visione su come la Jugoslavia nei primi anni se...