mercoledì 6 febbraio 2019

Red Land - Rosso Istria: un'occasione mancata !






Mi definisco un uomo di sinistra, ma non di quella sinistra chiusa e autoreferenziale, che si parla e riparla sopra e finisce per ghettizzarsi nelle proprie idee e ideologie. Ho sempre pensato che essere di sinistra significhi essere anche il più aperto possibile verso l’altro, anche e direi soprattutto, verso quello che la pensa in modo diverso da me.

Poi se ci mettiamo la passione per i viaggi che ti porta anche involontariamente ad aprire l’animo agli orizzonti e non alla storia e alle storie precostituite, ecco che quando ho letto qualche anno fa che si stava per realizzare un film sulle foibe, argomento che avevo iniziato a “leggere” in maniera autonoma, chiaramente mi sono incuriosito e ho iniziato a seguire, anche sulla pagina di Facebook, la difficile genesi di Red Land – Rosso Istria che ho avuto modo di vedere ieri sera e che sarà comunque passato in prima serata sulla Rai venerdì anche se disconosco su quale rete.

Ebbene, devo dire che la visione del film, ma ancor di più il contesto in cui si è svolta, ha lasciato nel mio animo di persona libera e curiosa, una serie di inquietudini che cercherò in breve di descrivere.

Partiamo dal contesto della serata.

Chiaramente non mi sarei aspettato di trovare tra il pubblico esponenti “illuminati” della nostra sinistra o dell’ANPI, ero certo che tra il pubblico sarei stato praticamente l’unico “indipendente” a vedere il film. Ero certo che ci sarebbero stati rappresentati delle associazioni degli esuli, e questo ben venga, è necessario che chi ha vissuto racconti, quello che speravo si evitasse e che diventasse una riunione di un “Circolo di estrema destra monarchica” romana e non solo.

Insomma va bene che la sinistra, l’ANPI, hanno sicuramente delle prevenzioni su quanto il film racconta (ma io onestamente sarei andato a vederlo e mi sarei anche presentato se fossi stato in qualche partigiano o uomo di sinistra presente in sala), e che alcuni atteggiamenti non aiutano il dialogo, ma la sfilata di noti esponenti della destra italiana, a mio parere non fa bene al film né al riconoscimento del dramma degli infoibati ed esuli.

E’ proprio questo contesto che mi ha spinto ad andare via a metà della visione, mi sentivo in qualche modo fuori posto, a disagio. Io che ero venuto a vedere il film con animo aperto e sicuro di vedere un prodotto che tentasse di unire più che dividere, ero costretto ad ammettere di aver riposto nel film e in chi lo ha realizzato troppe aspettative.

Eccoci al film.

Iniziamo da uno dei pregi: la presenza di un grande attore come Franco Nero nel cast. La sua presenza nel film rende degno di nome lo stesso. Il ruolo che interpreta, un professore disilluso e sempre in bilico tra riconoscimento del ruolo del fascismo e ammissione degli errori dello stesso, lo rende umano e vero.

Tanto è vero e umano che purtroppo gli altri attori sembrano essere lì quasi per ad inscenare un dramma ad uso esclusivo di una parte politica e sociale.

E badate che questo giudizio vale anche per tanti film realizzati in modo acritico sui partigiani e sulla resistenza.

Ecco è proprio l’acriticità e il punto di vista del tutto parziale a rendere il film una sconfitta, un’occasione mancata.

Come in ogni film di guerra ci sono tutti i topos e le figure ricorrenti, in questo caso naturalmente a ruoli invertiti. Mentre nei film sulla resistenza il partigiano è il buono, l’angelo liberatore, quasi un messia, in questo caso queste caratteristiche le hanno i “fascisti buoni” abbandonati dall’Italia e dai tedeschi al massacro. Mentre quasi come bestie senza alcun lato umano vengono dipinti i partigiani. Ma vi chiedo, se finalmente dopo tanti anni di ricerche storiche e antropologiche, abbiamo scoperto anche la figura del “tedesco buono”, è possibile che non ci fosse un solo partigiano titino, con appena un po’ di morale?

E poi perché non si stigmatizza con forza il ruolo nefasto svolto dai tedeschi e il governo ustascia della Croazia, in teoria alleati degli italiani, occupanti la Slovenia e la Croazia, che nulla fecero per gli italiani d’Istria? Se ne accenna ma da quella parte “bestie” non se ne sono trovate.

In tutto questo ciò che finisce davvero per essere messo in secondo piano, e usato in modo strumentale, e in questo modo svilito, è proprio il dramma di Norma Cossetto, e di questo me ne dispiace molto.

Insomma Red Land non è Magazzino 18, dove Cristicchi con la sua grazia e la sua ricerca storica e umana, ha avuto il pregio di avvicinare anche chi come me era scettico al dramma delle foibe.

Red Land è un film di parte, e in questo “partigiano”, in cui vengono canalizzate le rabbie dei tanti torti subiti anche dallo stato italiano contemporaneo.

Un film che quindi non può che portare ulteriore distanza tra le parti.

Per quanto mi riguarda sto cercando di elaborare la mia delusione, per il film in sè e per il contesto in cui è avvenuta la visione.

Per i motivi che ho fin qui esposto, ritengo ancor di più necessario che delle foibe e dell’esodo si parli, che la gente, tutta, vada a visitare la Foiba di Basovizza e il Magazzino 18, e che si riesca ad arrivare al giorno in cui quanto accaduto non sia solo la memoria di una parte d’Italia ma del paese tutto.

Perché non ci siano più alibi e nessuno né da sinistra, né naturalmente da destra, possa sfruttare questo dramma a uso e abuso politico.

Vi invito a vedere il film e a farvi una vostra idea e se volete ne parliamo anche all’infinito.

Buona visione … critica.

lunedì 4 febbraio 2019

Tra memoria e abbandono: Il Magazzino 18

Un anno fa proprio in questi giorni realizzavo in piccolo grande desiderio che portavo nel cuore da quando avevo dapprima letto e poi visto quella ricerca certosina e appassionata sull'esodo che è lo spettacolo "Magazzino 18" di Simone Cristicchi.
Mi spingeva, come mi spinge sempre nei miei viaggi, la voglia di vedere e comprendere in prima persona, recarmi nei luoghi e farmi raccontare dal loro spirito la versione di coloro che hanno avuto pudore nel raccontarla.
Visitare il Magazzino 18 è difficile, nell'entrare nel porto si firma una liberatoria in cui si dichiara che non si farà uso delle foto e dei video per reportage professionali o pubblicazioni su blog o siti internet, perchè il luogo in cui si entra è soggetto a servitù militare.
Poi è difficile per quello che ti lascia dentro.
Una situazione di abbandono e allo stesso tempo di forte memoria l'ho percepita in modo così forte solo a Prypiat, la città abbandonata dopo l'esplosione del reattore n. 4 della centrale nucleare di Chernobyl.
Anche lì, come nel Magazzino 18, si percepisce il dramma di chi ha dovuto lasciare in fretta e furia i luoghi in cui ha vissuto e in cui sperava di vivere in futuro.
Non mi interessa se penserete che la loro vita fosse sbagliata, che fossero quelli dalla parte sbagliata, mi interessa solo comunicarvi il senso di abbandono, di perdita che danno le masserizie accatastate , abbandonate nei freddi stanzoni del Magazzino.
Un Magazzino che probabilmente non diventerà mai un museo perchè non è quello il fine, ma museo lo è già adesso, come lo è Prypiat, memento della caducità della vita e del destino umano.
E allora le foto che vi posto potrebbero essere state scattate nel Magazzino 18 o chissà a Prypiat nella scuola abbandonata, o in uno qualunque dei posti in cui semplicemente la vita è fuggita e mai più vi farà ritorno.
Siate memoria, coltivate memoria, fatevi memoria, anche quando questa memoria può essere "pericolosa", perchè solo visitando i luoghi in cui gravi fatti sono accaduti avrete l'occasione di ascoltare la voce, lo spirito dei luoghi.
La terra, l'acqua, il vento, gli elementi spesso comunicano più di ogni libro letto, ogni film visto.
Se potete visitate il Magazzino 18, senza pregiudizi, solo per ascoltare storie che nessuno vi potrà più raccontare.



Beldocs festival tra memoria e attualità? E se quello che vediamo non fosse davvero "fiction"?

Si è aperto mercoledì con la proiezione di "Another Spring", film serbo in prima visione su come la Jugoslavia nei primi anni se...