giovedì 22 dicembre 2016

L'UOMO DI SELO (RACCONTO DI NATALE)

Un luogo imprecisato nei Balcani.
Un uomo nella penombra della sua camera si avvicina al fornello da campo che è divenuto la sua cucina, accende il fuoco, prende il bollitore e lo pone sulla fiamma irregolare.
Poi torna a sedersi stancamente sulla poltrona che adorna la spoglia stanza che rappresenta la sua casa.
La neve scende copiosa in questa sera di quasi Natale, guarda fuori i fiocchi cadere e sente la pace colmare il suo spirito.
Guarda la sua casa, che altro non è che una stanza, con orgoglio e si gode gli scricchiolii del legno di cui è fatta.
Chiude gli occhi, sembra quasi addormentarsi,  pensa a cose irraggiungibili, ormai perdute, è forse questo non è del tutto un male.
Si desta, il bollitore fischia, è l’ora di mettere a depositare il caffè nero e aspro, e aspettare il suo tempo , aspettare che diventi nutrimento caldo per l’anima.
Si siede di nuovo nella penombra, una coperta sulle gambe, non fa freddo in casa, semmai il freddo è nell’anima, e a volte dà brividi profondi.
Passano alcuni minuti il caffè nel frattempo si è depositato sul fondo, è ora di versarlo nella tazzina e berlo amaro com’è tradizione accompagnato da deliziose gelèè di frutta.
Si siede a tavola, posa la tazza fumante e apre un quaderno, dove appunta la sua attività giornaliera, per ricordare anche solo a se stesso quel che sta accadendo da qualche tempo in questo luogo all’apparenza lontano da tutto e da tutti.
Poche righe , poi sorso dopo sorso arriva il sonno, l’uomo si siede sulla comoda poltrona e si addormenta, e sogna, sogna un fiume, che sogna un fiume.
     Al risveglio, l’uomo continua il suo lavoro nel freddo del primo mattino, ha dormito profondamente sulla poltrona, al caldo della sua casa di legno, ma ha sognato qualcosa ma non riesce a ricordare.
Il fiume , suo compagno silenzioso, fa una curva dove ora ha posto le sue radici, e in questo punto è così largo da sembrare un piccolo mare. Sull’altra riva solo arbusti e piccoli alberi, da quando è lì non ha mai visto altri uomini.
Uomini come lui, pensa,  con nomi simili ma diversi che credono ad un Dio simile ma diverso, hanno tradizioni simili ma diverse, ma fanno la guerra come tutti gli uomini, in questo simili, senza eccezione.
L’uomo è stanco di guerra, è solo, ed è quello che cerca.
Verso mezzogiorno fa una pausa, mangia senza fretta guardando fuori, perdendosi nei primi fiocchi di neve che iniziano a cadere ed è proprio mentre addenta un pezzo di prosciutto che li vede arrivare.
Non si aspettava di vedere altri esseri umani, almeno non così presto, guarda le tre figure dalla finestra e ricorda qualcosa che viene direttamente dai ricordi della sua infanzia felice. Un fumetto, l’Eternauta, una strana nevicata, persone che muoiono al contatto con la neve, il silenzio, l’invasione degli alieni, gli scafandri. L’uomo in un’altra vita è stato più che un contadino evidentemente.
Continua a guardarli mentre spaesati cercano di capire dove sono finiti. La donna con il foulard si siede stanca su un tronco d’albero, la bambina stretta in un cappottino troppo leggero per la stagione, si guarda intorno mentre stringe con forza il suo cagnolino di pezza.
L’uomo incrocia per un attimo il suo sguardo, non può far finta di niente, l’ospitalità è un sacro dovere.
Esce di casa li scruta uno per uno, sembra che abbiano camminato molto, il viso segnato, come il suo.
L’altro uomo guarda la moglie e rompe il silenzio: “ Signore ci scusiamo se la disturbiamo … viaggiamo da giorni e non abbiamo dove stare … Vorremmo chiederle il permesso di accamparci qui per la notte… Non staremo molto, il tempo di riposarci e riprendere il cammino. La nostra meta non dovrebbe essere lontana.”
L’uomo acconsente con il capo e indica ai tre una piccola capanna in legno dove tiene i pochi attrezzi e la paglia. L’altro uomo ringrazia con deferenza e si dirige con la donna e la bimba verso il casolare.
L’uomo entra in casa, si ferma sull’uscio come a riprendere fiato e si dirige verso una cassapanca, la apre e ne trae  delle coperte, prende poi la pentola dal fuoco e esce di nuovo.
Si dirige verso la capanna e sempre in silenzio senza dire una parola, porge all’uomo le coperte e la pentola con la zuppa.
Il nuovo arrivato fa un cenno come per rifiutare, ma l’uomo risponde con  un altro altrettanto eloquente segno, non deve preoccuparsi.
Il nuovo arrivato si inchina e ringrazia: “ Salam Aleikum”.
L’uomo di Selo per un attimo si irrigidisce, poi saluta con un impercettibile gesto del capo e chiude la porta in legno dietro di se.
Tornato a casa, si siede al misero tavolo in legna, le mani che gli tremano, e gli occhi lucidi, in preda a chissà quale emozione, apre la bottiglia di rakja e beve due bicchieri di fila senza quasi respirare. Solo allora si sente quasi in pace e respira profondamente.
Il passato torna ancora con una forza tale da togliere il respiro. Prende un pezzo di prosciutto e mastica a lungo, assecondando la rabbia e il dolore, cerca la pace nella neve e , infine,  si mette a leggere alla luce di una lampada seduto sulla poltrona.
Più tenta di leggere, più pensa a quelle tre persone ospiti del suo capanno.
Durante la notte cerca invano di dormire, ma si accorge presto che non gli sarà possibile, si mette così a scrivere qualcosa sul suo diario, poche righe solcate dalle lacrime.
E viene l’alba.
Con le prime luci l’uomo esce di casa, si dirige verso il fiume e lo sente scorrere, per qualche tempo trova pace, poi si dirige  verso la Capanna, nessuno sembra essere uscito durante la notte.
All’uomo vengono in mente brutti pensieri. Bussa  alla porticina, sente qualcuno muoversi all’interno, di sicuro sono vivi.
La porta si apre e la donna si affaccia.
L’uomo viene colto da un improvviso imbarazzo e non riesce a guardarla negli occhi, proprio in quel frangente la porta si socchiude e dopo poco l’altro uomo si sporge.
L’uomo di Selo saluta: “Dobro Jutro”.
L’altro risponde: “Salam Aleikum”.
“Spero che il riparo sia stato confortevole” chiede l’uomo di Selo, l’altro annuisce col capo: “ Grazie … andremo via il più presto possibile … non appena …”.
L’uomo fa un cenno nell’aria, come per dire non ha importanza e si allontana.
L’altro uomo lo segue con lo sguardo . Cosa ha fatto la guerra? Cosa ci ha resi? Si chiede.
Nel corso della giornata l’uomo di Selo continua i suoi lavori guardando di sottecchi l’altro uomo e la sua famiglia. Giunta l’ora del pranzo  l’uomo di Selo  entra in casa, prende del pane scuro, formaggio e prosciutto, la bottiglia di rakja e del succo di frutta e si avvicina alla famiglia dinanzi ad un fuocherello.
Si siede con loro, stende una coperta sul terreno e deposita il tutto invitando i tre a mangiare.
Guardando l’altro uomo quasi schernendosi pronuncia poche parole: “Qui c’è terra per tutti …” e si allontana verso il fiume.
Dopo qualche tempo, l’altro uomo si alza, lo raggiunge e gli pone una mano sulla spalla.

“E il Fiume vide che era cosa buona”.

giovedì 10 novembre 2016

I grandi cimiteri sotto la Luna. Porreres 04.11.2016: la fossa comune repubblicana.

Il titolo che ho scelto per questa riflessione su quanto ho potuto vivere e vedere nella piccola città di Porres, Mallorca, qualche giorno fa, è la traduzione di un quasi sconosciuto, almeno per il mondo italiano, libro di Bernanos, "Los grandes cemeterios bajo la Luna" (Ed. Lumen 2009).
Bernanos nel 1938 si trovava a Maiorca, lui falangista della prima ora e con un figlio nelle file falangiste,  testimone quanto più obiettivo di quanto accadde in quegli anni, perchè parte del sistema politico militare che si rese, con la complicità della Chiesa Cattolica, colpevole di decine di efferati massacri. Un testimone che mai rinnegherà il falangismo ma che resta attonito di fronte alle violenze della propria parte politica, ma ancora di più dal ruolo attivo dei sacerdoti.
Bernanos, scrittore cattolico francese, che divenne famoso per il libro "Diario di un curato di campagna", quindi, si trovava a Maiorca il 18 luglio del 1936 e fu testimone diretto della repressione franchista. Nel suo libro lo scrittore racconta, tra le altre cose, come un canonico della Cattedrale di Maiorca giustificasse i fucilamenti:"lo scorso anno solo un quattordici per cento dei maiorchini aveva compiuto i suoi "deberes pasquales", i doveri pasquali. Una situazione tanto grave giustifica misure eccezionali"“.
Questa frase agghiacciante fa comprendere bene qual'era il clima politico e sociale in quel periodo. "Los grandes cementerios bajo la luna" diviene una denuncia appassionata e sicuramente per l'autore ,cattolico praticante ancora più dolorosa, di quella che arriva a chiamare “cruzada episcopal”.
Tutte le notti, racconta ancora lo scrittore, i falangisti passavano casa per casa, bussavano discretamente alla porta, e al minimo segnale uditivo di un respiro un passo oltre la parete , irrompevano nella casa, urlando "Seguiteci". ( Su questi fatti e sulla traettoria di vita singolare del protagonista nato ad Esporles,  si possono leggere le memorie di Juan Matas che arrivò nei suoi tentativi di sfuggire ai falangisti fino a Gaeta e successivamente, prigioniero a Ventotene, Juan Matas, Mi odisea, Ultima spiaggia ed., 2009).
A volte si trattava di falangisti di appena diciotto, vent'anni.
Gli uomini per la maggior parte, ma non alcuni casi non sono stati risparmiate donne e bambini, venivano fatti salire su una camionetta, e costretti in alcuni casi a scavarsi la loro stessa tomba.
"Abbassatevi" gli gridavano , dopo solo gli spari.
 I cadaveri venivano collocati al bordo della fossa dove il giorno seguente il becchino li avrebbe trovato con il capo devastato, e la nuca poggiata sopra una ripugnante melma, sangue coagulato.
Sembra strano, in effetti, parlare di becchino, questo perchè, ed è la cosa più terrificante, i fucilamenti avvenivano nelle vicinanza del cimitero. Il sindaco scriveva sul registro: «Fulano, Zutano y Mengano, muertos de congestión cerebral.».
Qualcosa di simile a quel che è raccontato nel libro di Bernanos è successo nei paraggi di Porreres. Esistono molte risultanze storiche e testimoniale che questo eccidio sia avvenuto, nonchè alcuni ottimi lavori storici. L'associazione Memoria de Mallorca da anni raccoglie testimonianze dirette e de relato su quanto avvenuto nell'isola dal 1936 al 1938, mentre su quanto accaduto a Porreres, si consiglia la lettura dei libri dello storico dell'Università delle Baleari, Bartolomeu Gari.
La cosa più terribile è che, non solo quasi tutti sapevano che qualcosa di terribile fosse avvenuto, ma che sapevano quasi tutti, da destra a sinistra, che i corpi o i resti di essi, giacevano in una fossa comune posta nel Cimitero di Porreres, a pochi metri dal suolo, nei camminamenti che separano le tombe di coloro che hanno avuto la fortuna di una degna sepoltura.
Vi chiederete, se tutti sapevano, perché nessuno ha iniziato a scavare?
Perché le autorità politiche non si prendevano la "responsabilità politica e umana" di ammettere le colpe passate.
La Ley de Amnistia, che è seguita al termine della dittatura franchista ha, infatti, impedito di giudicare chi ha commesso questi fatti.  Le uniche cause giudiziarie portate avanti si devono alla caparbietà del giudice Garzon, fatto fuori utilizzando suoi errori personali, e ad una giudice argentina che facendo leva sulla doppia nazionalità di molti scomparsi, ha avuto il coraggio di mettere sotto accusa un'intero periodo storico, una classe dirigente, un paese che preferiva dimenticare.
Ma finalmente il governo baleare guidato dai partiti progressisti di MES, Podemos e PSOE, hanno approvato la cosidetta "Ley de Fosas" che ha permesso l'inizio dei primi scavi.
Così qualche giorno fa nel cimitero di Porreres, si è iniziato a scavare, nella dura terra della memoria, e della divisione.
Queste sono alcune immagini del lavoro degli antropologi forensi che si protrarrà fino ai primi di dicembre.
Tutto questo per non dimenticare che questo e tanto altro di terribile è stata la Guerra Civile Spagnola.









mercoledì 17 agosto 2016

Lettera a Salvini sulla Pulizia Etnica.

Lettera (quasi aperta) all'On. Salvini.
On. Salvini, come vede non inizio questa breve lettera ne con gentile, nè con egregio, perchè lei ha più volte dimostrato di non essere né gentile, né tantomeno egregio. Ma purtroppo, e sottolineo solo in questo caso il purtroppo, nella mia famiglia mi hanno insegnato a rispettare tutti e farò quindi lo sforzo notevole di rispettare lei, non di certo le sue idee. Quelle mi dispiace non meritano alcun rispetto, perché una persona che anche solo per sbaglio, per boutade, per iperbole, invoca la pulizia etnica, non merita rispetto per le proprie idee, ma solo per il fatto di essere parte della unica razza umana.
Signor Salvini, lei lo sa cos'è la pulizia etnica? Sa cosa significa viverla sulla propria pelle?
Ringraziando Dio e la Storia noi, nella nostra storia recente non abbiamo dovuta viverla nel nostro paese, ma lei dov'era quando suceddeva in quello che qualcuno ha chiamato, il " nostro cortile di casa"? Dov'era quando persone con le sue idee o peggio, politici asserviti ad idee che di vero avevano solo i soldi che le finanziavano, sventravano il tessuto sociale dei nostri vicini amici Balcanici?
Negli ultimi dieci - undici anni ho viaggiato nei Balcani proprio per cercare di capire perchè tutto è accaduto, e parlando con la gente del posto, con professionisti e militari che la guerra l'hanno vissuta da una parte o dall'altra sul terreno, mi sono reso conto di quanto parole travisate o pompate, quanto cazzate, mi consenta il francesismo, sparate a cazzo di cane, solo per un voto im più, abbiano generato mostri.
Lei ha parlato di pulizia etnica, bene metta che nella sua valle arrivi qualcuno che inizi a predicare a destra e a manca che i lumbard sono razzisti, sporchi, cattivi, mangiano cose che non sono "urbane", si vestono in modo strano, non sorridono, e metta che pian piano molta gente si inizi a convincere che è vero. Metta caso che ... ah ma lei lo sa bene ... è quello che fa lei ogni giorno, con la sua macchina di propaganda proprio per creare mostri. perchè creare mostri porta voti.
Beninteso non è l'unico mostro, ce ne sono a destra a sinistra e anche nei cinque stelle persone che si dovrebbero vergognare per dichiarazioni che servono solo ad aizzare gli animi di persone già provate dalla vita quotidiana.
Ma di pulizia etnica finora non aveva parlato nessuno e lei è il primo in questa scala richter del terremoto che porterà alla distruzione della nostra cultura.
Si faccia un viaggio a Srebrenica, vada a visitare Vukovar, faccia un giro nell'aspra Erzegovina , in piccoli paesi come Ahmici per scoprire cosa significa pulizia etnica, e poi se ne ha il coraggio ritorni qui e lo dica ancora.
Buona giornata

martedì 9 agosto 2016

PGGV n. 5: Viaggio in Transnistria: il paese degli ultimi comunisti.




Raggiungere e attraversare la Transnistria è un’esperienza da provare, un salto indietro nel tempo, un viaggio ai confini dell’Europa, per certi versi un viaggio nell’assurdo. Ma andiamo con ordine.

Il Diario di Viaggio
Il primo problema da risolvere, per chi voglia raggiungere la capitale della Transnistria,  è scoprire da dove partono i minibus per Tiraspol, capitale della Repubblica non riconosciuta. Chiedo qualche informazione al Mercato centrale, (vedi videohttps://www.youtube.com/watch?v=OTvOTXrmafw)  mi indicano l’attigua stazione centrale. Penso di aver trovato i bus ma in realtà i mezzi per Tiraspol partono da un cortile interno la struttura della stazione centrale. Trovati i bus finalmente trovo anche il botteghino per i biglietti, e ho conquistato finalmente il mio posto nel minibus per Tiraspol.
Fa caldo, non tira un filo d’aria e nel pulmino non c’è aria condizionata, al momento della partenza viene chiusa anche la porta di accesso e l’aria entra unicamente attraverso una apertura del tettuccio. Poca aria e calda che poco dopo, comunque, rimpiangerò visto che una signora infastidita dal soffio d’aria chiede all'autista di chiudere il tettuccio.
Cercando di resistere al caldo terribile, seguo il percorso del minibus che, attraversata Chisinau, si dirige verso l’Aeroporto, mi guardo intorno per cercare di capire chi sono i miei compagni di viaggio. La maggior parte delle persone sono moldave a parte me, un gruppo di tre tedeschi guidato da una ragazza del posto e un giapponese. Il giapponese incuriosisce un po’ tutti, incuriosirà anche le guardie di frontiera.
Il minibus attraversa la campagna, supera alcuni piccoli paesi, tra cui il più importante è Anenii Noi. Anenii Noi è una città della Moldavia capoluogo dell'omonimo distretto di 11.463 abitanti al censimento 2004. È situata nella valle del fiume Bîc, 36 km a sud-est della capitale Chişinău. La città è menzionata per la prima volta in un documento ufficiale nel 1731 col nome Paşcani pe Bîc. Nel 1837 era sotto l'influenza del conte Stuart che giurò fedeltà alla Russia degli Zar e nel 1856 venne distrutta dai Tatari di Bessarabia. Venne ricostruita a partire dal 1883 e sei anni dopo arrivarono coloni tedeschi che comperarono 1.715 ettari di terreno. Al censimento del 1910 in questo territorio risultarono due villaggi:Nicolaevca Nouă (dal 1926 Anenii Noi) con popolazione prevalentemente tedesca e Nicolaevca Veche (dal 1926 Anenii Vechi) con popolazione russa. I coloni tedeschi tornarono in Germania nel 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale. Ottenne lo status di città nel 1965).
Superata la piccola località si lascia la strada principale per deviare in una strada di campagna, ci troviamo nei territori contesi tra la Moldavia e la Transinistria, una sorta di zona cuscinetto demilitarizzata creata al termine della guerra del 1992 a ridosso della città di Bender conosciuta anche come Benderi o Tighina, e resa famosa ( o meglio famigerata) da Nicolai Lilin in Italia nel suo libro Educazione Siberiana.


Tighina o Bender o Bendery è la quarta città più popolosa della Moldavia. Come già accennato in precedenza, nel giugno 1992 militari russi per ordine del gen. Lebed, traversarono il Dniestr e dopo aspri combattimenti casa per casa che costarono la vita anche a civili, occuparono la città sconfiggendo le forze moldave. Molti civili abbandonarono la città fuggendo verso ovest. La città è oggi controllata dalle autorità della regione della Transnistria, la regione indipendentista della Moldavia, anche se essendo situata sulla riva destra del fiume Dnestr, la municipalità di Tighina, non è considerata parte della regione Transnistria né dal governo della Moldavia né dai geografi. Se si studia una mappa di Bender sul web è possibile vedere come il confine informale tra Moldova e Transnistria attraversi in più punti la città, rendendola un mosaico di enclave ed exclave.
La città di Tighina di fondazione romana cambiò il suo nome in Bender nel 1538 quando il territorio della Bessarabia fu conquistato dai musulmani. Proprio in quel periodo iniziò la costruzione della Fortezza che è divenuta il simbolo della città.
Mi sarebbe piaciuto fermarmi anche per visitare i quartieri di cui parla Lilin nel suo romanzo, ma avendo poche ore a disposizione ho deciso di dedicare il mio tempo alla capitale Tiraspol.
Il minibus, superato Bender-2, la stazione o meglio il binario di confine situato in territorio moldavo su cui transita il treno Chisinau – Odessa con fermata a Tiraspol, raggiunge il confine tra Moldavia e Transnistria (a Varnjta).


Sulle difficoltà dell’attraverso del confine tra Moldova e Transnistria circolano molti racconti di viaggio alcuni probabilmente veritieri altri “gonfiati” e alcuni davvero poco proponibili. Che sia decisamente problematico l’attraversamento è indubbio ma che si debba chiedere l’intervento della mafia russa, come scritto da molti, o pagare mazzette ai poliziotti probabilmente è esagerato o forse dipende dal motivo per cui si entra in Transnistria.
E’ vietato fare foto e video ma riesco a rubare qualche fotogramma riprendendo con il cellulare  mentre faccio finta di telefonare (https://www.youtube.com/watch?v=8tG_u0VIEMkhttps://www.youtube.com/watch?v=u20-gzFIxWE).

 Al confine sembra di essere in una zona di guerra, due casotti di colore verde, nel mezzo uno spartitraffico dove ci sono due militari che controllano i documenti delle macchine che escono dal territorio indipendente. Questo e la polvere sono la porta d’accesso alla Transinistria.
Scendiamo dal bus, il conducente ci indica di andare verso il gabbiotto di destra. Con me ho un piccolo foglio che rappresenta il visto d’ingresso nella Transnistria.  Vi si trascrivono i dati personali, gli estremi del passaporto e il motivo della visita. Il piccolo foglio  verrà tagliato a metà, una parte rimarrà ai militari e la seconda allo straniero che dovrà presentarlo all’uscita. Vi consiglio di conservarlo con cura, perderlo comporterebbe una serie di problemi legali di difficile soluzione.
Nel primo gabbiotto una scontrosa poliziotta registra i dati del “visitatore”, poi riconsegna il passaporto. Non pensiate che sia finita lì, come pensavamo innocentemente noi stranieri. In effetti la poliziotta aveva sdegnosamente rifiutato il foglietto bianco, come se non fosse necessario, quindi pensavamo che la procedura fosse terminata li.
Scopriamo, invece, grazie all’autista del bus, per cui sicuramente i turisti sono una grande scocciatura, che dobbiamo fare una seconda fila. Nel primo gabbiotto, infatti, si viene registrati all’immigrazione, i dati, poi vengono trasmessi ai militari che sono allocati nel secondo gabbiotto i quali provvederanno ad apporre sul foglio la data e l’orario di entrata e uscita dal paese. Per l’uscita bisogna rigorosamente attenersi a quanto indicato sul foglio.
Esistono diversi tipi di visti d’ingresso nel paese, io ho scelto quello giornaliero che consente di risiedere sul territorio per 10 ore. Sul foglio viene indicato a penna l’orario entro cui bisogna lasciare il paese, in caso contrario bisogna registrarsi presso la polizia e trovare un albergo dove dormire. La seconda tipologia di visto viene rilasciata per soggiorni più lunghi e bisogna essere provvisti di una prenotazione alberghiera a garanzia del soggiorno, arrivati in albergo provvederà il personale alla registrazione.

Dopo un’ora finalmente riusciamo ad entrare nel “sacro suolo” transinistriano, un tuffo nel passato, nella “ostalgia” e perché no anche un senso abbastanza diffuso di insicurezza almeno al primo momento.
Il bus dopo poco più di un quarto d’ora raggiunge la periferia di Tiraspol. Una delle prime cose che vedrete è sulla sinistra, il complesso sportivo della squadra dello Sheriff Tiraspol. La Bolshaja Sportivnaja Arena, impianto inaugurato nel 2002 e dotato di 13.460 posti tutti a sedere e di un moderno impianto di illuminazione sorge all'interno di un complesso sportivo costruito tra il 2000 e il 2002 costituito da 8 campi di allenamento, appartamenti, hotel a 5 stelle, campus per i ragazzi delle giovanili. (https://www.youtube.com/watch?v=pmG_14RUjo4).

Tiraspol (letteralmente città del Tyras, antico nome del fiume Nistro)  è conosciuta per essere una delle poche città  che non sono ancora largamente cambiate da quando facevano parte dell'Unione Sovietica. Sono, infatti, ancora presenti molte statue di Lenin e accanto a dipinti di Stalin ci sono addirittura quelli di Che Guevara.
Nel 1989 la città aveva una popolazione di circa 190.000 abitanti: il 18% erano russi, il 32% ucraini e il 38% moldavi (nel 1919 i moldavi erano il 42%). È stato stimato che dopo una certa crescita negli anni 1990 la popolazione sia di nuovo diminuita ai livelli del 1989, e secondo il World Gazetteer raggiunge circa 162.000 abitanti. Dopo la secessione dalla Moldavia molti moldavi sono infatti fuggiti, e si pensa che la popolazione moldava nella città sia scesa al 13% del totale.
Nonostante la città sia all’apparenza molto moderna ha una storia ricca e interessante. 
Nel XVI secolola zona di Tiraspoli era una zona cuscinetto tra i Tartari e i moldavi, lasciata deserta da entrambe le etnie. Solo nel 1792, dopo che l'Impero russo ebbe conquistato la strada verso il fiume Nistro, l'esercito russo costruì una fortificazione sul sito dell'antica città tartara di Hagi-bei, allo scopo di controllare il confine occidentale. Nel 1812 l'Impero russo aveva inglobato anche la parte orientale del principato di Moldavia, creando la regione della Bessarabia e la zona di Tiraspoli veniva, di conseguenza, colonizzata da Russi e Ucraini. La città ha anche una notevole presenza ebraica, nel 1897 si contano 8668 ebrei il 27% della popolazione. Dopo la Rivoluzione russa, come già ampiamente riportato,  la Bessarabia fu annessa alla Romania, Tiraspol fu temporaneamente capitale della RSS Bessaraba e nel 1929 divenne la capitale della "Repubblica autonoma socialista sovietica di Moldavia", restandolo fino al 1940. Nel 1941 la città cadde sotto l'invasione della Germania e passò sotto l'amministrazione rumena. Durante questo periodo quasi tutta la popolazione ebraica venne deportata. Nel 1944 la città fu ripresa dall'Unione Sovietica e fu ripristinata la Repubblica socialista sovietica moldava. Dal 1991 è la capitale della Transnistria.
Superato lo stadio si entra in una immensa periferia e anche in questo caso, come per Chisinau, è difficile scoprire dov’è il centro di Tiraspol. Non riuscendo ad orientarmi decido di scendere quando vedo scendere i ragazzi tedeschi e la loro amica, lo stesso fa il ragazzo giapponese. Chiediamo a loro dov’è il centro, la ragazza ci dice che l’abbiamo appena superato ma che se la seguiamo ci porterà lei. “Lost in Tiraspol”, e non è una gran sensazione.
Attraversiamo un viale alberato che incrocia quella che può essere considerata la strada principale, mi guardo intorno, ci sono pochi e piccoli negozi, qualche edificio di chiara impronta razionalista e poco altro.
La ragazza ci chiede se vogliamo cambiare i soldi. In Transnistria, infatti, almeno ufficialmente la moneta moldava non viene accettata, così bisogna cambiarla in rubli transnistriani moneta introdotta nel 1994 che ha corso legale soltanto nel piccolo territorio della repubblica separatista.
Arrivati ad un altro incrocio, la ragazza ci dice che abbiamo raggiunto il centro. Davanti a me si profila un’enorme piazza come quelle che siamo abituati a vedere nei documentari che ricordano i fasti dell’Unione Sovietica. Quelle enormi piazze in cui si svolgevano le grandi sfilate militari.  Sulla destra c’è una chiesa ortodossa con un attiguo edificio banco con cancellate verdi, a pochi metri il cinematografo e  il parco cittadino. Di fronte una piccola chiesa ortodossa “minacciata” da un vecchio carrarmato e il Memoriale delle vittime della guerra civile del 1990-92 tra Moldova e Transinistria.

La ragazza prima di salutarmi mi chiede se può aiutarmi in qualche altro modo. Le dico che la mia intenzione è quella di fotografare qualche monumento e visitare qualche museo. Lei mi risponde: “Good luck”. Chissà perché ma la cosa mi agita abbastanza, quel buona fortuna pronunciato con uno sguardo rassegnato sembrava foriero di qualcosa di molto pericoloso. Il ragazzo giapponese intanto ha già iniziato a fotografare. Io prendo la mia strada e mi dirigo verso la chiesa ortodossa. Faccio qualche foto cerco di entrare ma rinuncio perché c’è in svolgimento un matrimonio, allora  mi dirigo verso l’edificio bianco con i cancelli verdi. Nel fare le foto all’edificio mi rendo improvvisamente conto di essere osservato da una coppia che transita sul marciapiedi.  Noto che soprattutto l’uomo mi guarda con un certo fastidio e anche una certa rabbia. Improvvisamente mi si avvicina e mi dice qualcosa del tipo : “Spioni … ruski” o qualcosa del genere. Io rispondo “Turist” e lui ridendo sprezzante : “Turist”. A quel punto immagino che voglia mollarmi un bel pugno, ma la moglie lo tira via e lui va via continuando ad inveire.

Guardando quello che evidentemente deve essere un obiettivo militare o un edificio del KGB rifletto sull’ultima esperienza e mi riprometto di essere più discreto nel fotografare edifici, chissà che non riprenda qualche segreto militare. Mi sposto nel centro della piazza, il viale è enorme e attraversalo non è facile visto la velocità di crociera delle macchine. Finalmente ci riesco e faccio qualche foto nel Parco, dove tra il verde  spuntano alcune statue patriottiche.
Superato il parco su una piccola collinetta si staglia il Monumento alle vittime della guerra del 1990-92. Devo confessare che ho un certo fascino per i memoriali, per la loro magniloquenza, per la  loro maestosità, luoghi nati per essere considerati i templi della memoria e naturalmente della retorica.
Faccio alcune foto ad ampio raggio, ma quando cerco di fare delle foto ad alcuni particolari delle tombe e della fiamma eterna, noto un militare sotto un albero, deve essere una sorta di guardiano del luogo. Lo guardo, lui mi guarda, noto che è decisamente disinteressato e allora mi avventuro a fare delle foto più particolareggiate.

Superato il Memoriale, se si segue la strada in salita si raggiunge uno dei luoghi simbolo di Tiraspol, il Palazzo del Presidente nel cui piazzale antistante si staglia enorme, imponente e solenne, la statua in granito rosso di Lenin, costruita ai tempi dell’URSS e mai rimossa. La guardo e la riguardo non riesco ad allontanarmi, qui ancora è davvero possibile sentire “qualcosa di comunista” nell’aria anche se non sempre deve essere stata una bell’aria.

Dopo aver scattato alcune foto al grande padre, mi avvio verso il Parco, fa un caldo atroce e ho bisogno di bere, il Parco degrada verso il fiume, il Nistru che fa da confine tra Moldova e Transinistria. Attraverso una piccola area verde, faccio un foto ad un barcone abbandonato utilizzato dai pescatori e mi ritrovo sulla spiaggia di Tiraspol.


Non vi aspettate chissà che, c’è un piccolo bar in cui però è possibile consumare solo degli snack e un’area attrezzata per bambini. Il caldo è atroce anche qui, prendo una birra ghiacciata e me la bevo così di getto tanto che alla fine mi sento del tutto frastornato. Compro anche una bottiglia d’acqua e mi siedo a guardare il fiume, la fame avanza, e quando ormai sto abbandonando l’idea di mangiare sul fiume, ecco apparire nel calore una signora che con un paniere gira tra i tavoli con degli invitanti involti. La chiamo, la signora si avvicina e in russo mi chiede che cosa voglio. Sorridendo le faccio capire che non capisco e lei continua a parlarmi, allora utilizzo una delle poche parole che conosco, “Syr” che significa formaggio. Finalmente, sempre  sorridendo, mi propone una sorte di calzone al formaggio, ne prendo due. La donna mi chiede da dove vengo, gli dico che vengo dall’Italia e lei sorridendo dice qualche parola in una specie di italiano. Sarà la fame, ma i calzoni sono davvero buoni.
Ho necessità di bagnarmi nel fiume anche solo le gambe, il caldo non si e’ affievolito anzi. Così mi immergo nel fiume fino alle ginocchia bagnandomi la faccia nel sacro Nistru. Rimango lì circa un’ora, guardando la gente prendere il sole e fare il bagno. Dopo un po’ mi ridirigo di nuovo verso il centro sicuramente più rinfrescato ma con ancora un po’ di fame. Cerco un ristorante, ce n’è uno a bordo fiume che ha le bandiere di tutti gli stati della CSI, 

 ma sta chiudendo, allora mi dirigo verso l’unico locale che è quasi sempre aperto in territorio moldavo, Andy’s Pizza. Decido di prendere un gelato e un caffè, la ragazza che serve ai tavoli parla solo russo e il menù è solo in cirillico meno male che ci sono le foto.
Dopo il gelato e il caffè cerco di farmi notare per pagare, ma sono scomparsi tutti, così entro nel locale e utilizzo una piccola parte dei miei rubli transinistriani, ne rimangono ancora molti spero di non riportare indietro troppi souvenir.
Il sole è ancora alto ma Tiraspol non prospetta altre grandi attrattive, girò ancora un po’ a vuoto alla ricerca di qualcosa da fotografare, da vedere, deluso mi avvio verso la stazione dei treni e dei bus e da lontano vedo che anche il mio amico giapponese sta lasciando Tiraspol.
Insieme cerchiamo di capire quando partirà il treno per provare l’emozione dell’attraversamento della frontiera con un  mezzo differente, ma le informazioni sono poco chiare e rischiamo di arrivare al confine troppo tardi, così optiamo di nuovo per il minibus.

La via verso il ritorno è più agevole così come il controllo alla frontiera, bisogna solo riconsegnare la parte del tagliando che è stata consegnata all’andata, ma qualcosa turba la calma apparente del minibus. I militari nel controllare i documenti notano qualcosa che non va in un agitatissimo signore, probabilmente di nazionalità rumena, e nella documentazione del ragazzo giapponese. Il militare li invita a seguirli. Rimaniamo in attesa in silenzio. Dopo cinque minuti ritorna solo il ragazzo giapponese, ha faccia di chi ha davvero passato un’esperienza infernale, sguardo basso e mesto, cerco di immaginare cosa sia potuto accadere in quel piccolo gabbiotto. Del signore rumeno, invece, non si hanno tracce.
Il minibus si ferma qualche minuto alla stazione dei bus di Bender e poi riprende la sua corsa verso Chisinau. Il breve viaggio in terra Transinistriana è terminato.
Il giorno successivo si ritorna a casa con nel cuore la voglia di tornare, per scoprire ancora di più della Moldova e del misterioso paese che non c’è, una delle poche patrie elettive degli ultimi comunisti.

Scheda storico-sociale:

La Transnistria, Transdniestria o, secondo l'espressione russaPridnestrovie  è uno stato indipendente de facto non riconosciuto a livello internazionale, essendo considerato ufficialmente come parte della Repubblica di Moldavia, governato da un'amministrazione autonoma che ha sede nella città di Tiraspol.
La regione, precedentemente parte della  Repubblica Socialista Sovietica Moldava (una delle repubbliche costituenti l'Unione Sovietica), ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza come Repubblica Moldava di Transnistria il 2 settembre 1990. Dal marzo al luglio 1992 la regione è stata interessata da una guerra che è terminata con un cessate il fuoco garantito da una commissione congiunta tripartita tra Russia, Moldavia e Transnistria, e che ha comportato la creazione di una zona demilitarizzata tra Moldavia e Transnistria comprendente 20 località al di qua e al di là del fiume Nistro.
Il nome della regione deriva, appunto, dal fiume Nistro. La Transnistria è infatti un'area posta sulla sponda orientale del fiume. Il nome letteralmente significa “Oltre il fiume Nistru” (Pridnestrovie).
Alla fine del XVIII secolo ci fu una vera e propria colonizzazione della regione da parte dell'Impero Russo, con lo scopo di difendere i propri confini di sud-ovest. La conseguenza fu una consistente immigrazione di ucrainirussi e tedeschi.
Nel 1918 il Direttorato di Ucraina (a quel tempo indipendente) proclamò la sua sovranità sulla parte sinistra del fiume Nistru. A quel tempo, la popolazione era per il 48% moldavo-rumena, 30% ucraina e 9% russa. Un terzo della regione (la parte attorno alla città di Balta, oggi con maggioranza ucraina) fa parte dell'Ucraina. La regione divenne poi l'Oblast' Autonomo di Moldavia nell'ambito della RSS (Repubblica Socialista Sovietica) di Ucraina. L'entità fu trasformata in Repubblica Autonoma Moldava (RSS a sua volta), con capitale Balta, nel 1924. La maggioranza della popolazione era di madrelingua rumena e nelle scuole s'insegnava perciò la lingua rumena usando l'alfabeto cirillico.
La RSS (Repubblica Socialista Sovietica) di Moldavia fu istituita da una decisione del Soviet Supremo dell'URSS il 2 agosto 1940. Era formata da due parti: una buona parte della Bessarabia, sottratta alla Romania il 18 giugno a seguito del patto Molotov-Ribbentrop, dove la maggioranza della popolazione era di lingua rumena; e la parte occidentale della preesistente Repubblica Autonoma Moldava, mentre la parte orientale, con la precedente capitale Balta, era annessa alla RSS di Ucraina.
Nel 1941 le truppe rumene, all'inizio dell'Operazione Barbarossa, ripresero la Bessarabia ma continuarono l'avanzata oltre il confine storico lungo il corso del Nistru. La Romania annesse poi ad interim l'intera regione tra il Nistro e il fiume Bug meridionale, dove era presente una consistente minoranza romena, includendo la città portuale di Odessa, che attualmente fa parte dell'Ucraina. L'Unione Sovietica riguadagnò l'area nel 1944 quando l'Armata Rossa penetrò nel territorio facendo indietreggiare le Potenze dell'Asse.
La RSS Moldava fu oggetto di una politica di sistematica russificazione, ancor più dura di quella del periodo zarista. Il cirillico divenne la scrittura ufficiale della lingua moldava nella repubblica, mentre il russo era la lingua di comunicazione interetnica.
La maggior parte delle industrie che furono create nella RSS di Moldavia allo scopo di attirare immigrati dal resto dell'URSS, era concentrata nella Transnistria, mentre la parte della Moldavia a ovest del Nistro manteneva un'economia prevalentemente agricola. Nel 1990, la Transnistria rappresentava il 40% del PIL moldavo e produceva il 90% dell'energia elettrica dell'intera repubblica moldava.
La 14ª armata dell'esercito russo, che aveva sede in Moldavia a Tiraspol, rimase anche dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica per salvaguardare il più importante arsenale e deposito di munizioni in Europa. Il governo di Mosca avviò negoziati con le repubbliche di Moldavia, Transnistria ed Ucraina per trasferire i diritti sul materiale militare alla Russia.
Il 2 settembre 1990 fu proclamata unilateralmente la Repubblica Moldava di Transnistria (MRT). Il 25 agosto 1991 il Soviet Supremo dell'MRT adottò la dichiarazione di indipendenza. Il 24 agosto 1991 il parlamento moldavo votò la dichiarazione di indipendenza della Repubblica di Moldavia, il cui territorio includeva la Transnistria. Il parlamento moldavo chiese al Governo dell'URSS di iniziare le negoziazioni con il Governo moldavo e porre fine all'occupazione illegale della Repubblica della Moldavia e ritirarsi dal territorio moldavo, ritirando la 14ª armata da Tiraspol.
Le forze della 14ª armata però rimasero e agli ordini del generale Aleksandr Ivanović Lebed combatterono in favore dei separatisti della Transnistria. I separatisti poterono armarsi con le dotazioni della 14ª armata russa e svolsero un ruolo minore nella guerra. L'esercito regolare moldavo, trovandosi in posizione di netta inferiorità numerica e di armamenti, fu sconfitto con rilevanti perdite. Nel giugno 1992 le forze russe attraversarono il fiume Dniestr e occuparono, dopo aspri combattimenti che costarono la vita anche a civili, la città di Tighina, situata sulla sponda occidentale del fiume; l'evento è ricordato in Moldavia come Massacro di Tighina. I morti furono causati dal fuoco delle artiglierie russe contro gli edifici civili. Il cessate il fuoco fu accettato e siglato il 21 luglio 1992.
Dopo tale accordo, la Russia continuò a supportare de facto il governo separatista. Fu istituita una zona di sicurezza tra Moldavia e Transinistria controllata da una Forza di pace congiunta (335 militari russi, 453 militari moldavi e 490 miliziani della regione separatista), sotto la supervisione di una Commissione di controllo congiunta. Nel 1998 alla Commissione si aggiunsero 10 osservatori militari ucraini.
L'OSCE, che cerca di favorire un negoziato stabile tra le parti, ha avviato una missione in Moldavia il 4 febbraio 1993 e ha aperto un ufficio a Tiraspol il 13 febbraio 1995.
Nel febbraio 2003, gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea hanno imposto misure restrittive contro la leadership della Repubblica di Transnistria.
 Negli anni è stato portato avanti un lungo processo di pace che ha interessato la Russia, l’Ucraina e la Moldova, ma i negoziati si sono arenati in ben due occasioni nel 2004 e 2005 per riaprirsi solo nel 2010, con il raggiungimento di pochi risultati, il più rilevante dei quali, la riaperura della tratta ferroviaria Chisinau - Odessa.
La Transnistria l'Abkazia el'Ossezia del Sud  dal 2006 hanno costituito la “Comunità per la democrazia e i diritti dei popoli”.
Un ruolo fondamentale nella recente storia della repubblica non riconosciuta l’ha avuta e ancora la ha la più importante azienda transnistriana  la “Sheriff”, l'unica autorizzata a esportare all'estero, il cui proprietario è il figlio maggiore Vladimir del presidente Igor' Nikolaevič Smirnov ex presidente della non riconosciuta Repubblica Moldava della Transnistria, carica che ha ricoperto dall'autoproclamazione di indipendenza della regione sino al 2011, quando venne battuto da Yevgeny Shevchuk. Nominato nel 1987  presidente del gruppo “Elektromaš” nella città moldava di Tiraspol, nel breve arco di due anni Smirnov si trovò alla guida del governo cittadino come presidente del soviet di Tiraspoli. Per il suo fare rude e sbrigativo si guadagno l'appellativo di “sceriffo”.
La "Sheriff" ha il controllo virtuale sull'economia dell'intera regione, dalla squadra di calcio della capitale FC Sheriff Tiraspol e del relativo stadio recentemente costruito, ha una catena di supermercati e di distributori di carburante, una casa editrice, una distilleria, un casinò, un canale televisivo e un'agenzia pubblicitaria.
Osservatori della Comunità Europea, esprimendosi in merito alla preoccupante situazione dell'illegalità e del mancato controllo delle frontiere di questa regione alle porte dell'Unione, sono portati a ritenere che parte non irrilevante del flusso economico nazionale sia direttamente collegato ai traffici illeciti che derivano dal radicamento del crimine organizzato di mafie attive in tutta la Russia e dalla particolare posizione di passaggio di questo territorio per il flusso degli stupefacenti, delle armi e del contrabbando; questa situazione ha portato la stampa a definire il paese il "buco nero d'Europa".


Beldocs festival tra memoria e attualità? E se quello che vediamo non fosse davvero "fiction"?

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