martedì 16 luglio 2019

Sul sentiero delle speranze spezzate


C'è  un filo rosso come il sangue e nero come la notte dura da passare che lega in un modo non facilmente visibile Srebrenica e Vucjak . Se ricordate le immagini di più di 25 anni fa, ricorderete queste persone in fuga da un luogo in cui non era più possibile vivere ma che comunque chiamavano casa, verso l'incertezza assoluta. Questi uomini ma soprattutto queste donne bambini e anziani, perché molti uomini anziani vennero barbaramente uccisi, si avviavano di notte verso Tuzla senza avere la minima idea di cosa avrebbero trovato Le loro vite erano spezzate, come le loro speranze, eppure su quel sentiero sconnesso, a volte improvvisato e pieno di insidie andavano e non potevano fare altro .
Durante il cammino venivano umiliati, offesi, violati, meglio, violate, a volte divenivano bersagli come in una assurda caccia alla volpe di cecchini senza più umanità. Ma su quel sentiero in qualche modo dovevano andare .
Venticinque anni dopo una nuova carovana si muove per le strade della Bosnia stavolta non è Tuzla la meta, sono le città di Bihac e Velika Kladusa  al confine con la Croazia . I disperati stavolta sono afghani, pakistani, siriani, tutti con una sola colpa, essere nati nel paese sbagliato, avere il passaporto sbagliato. La loro marcia sul sentiero delle speranze spezzate è iniziata da molto lontano e poco importa dove sono, poco sanno di un paese ancora tutto da ricostruire soprattutto a livello costituzionale e umano e ancor di meno sanno che venticinque anni fa i migranti erano quelli che adesso li ospitano e che molte di queste famiglie ancora ne attendono il ritorno dalla diaspora. Non sanno che stanno attraversando un paese che ancora non è riuscito a venire a patti con la coscienza delle sue tante anime e che per forza di cose è cieco davanti al loro andare.
C'è ancora qualcos'altro che lega queste due carovane.

Venticinque anni fa bosniaci di fede musulmana vennero rastrellati  e fatti confluire in campi improvvisati dove vennero separati gli uomini abili al lavoro e quindi alla morte, da donne ed uomini anziani e bambini che senza i loro uomini validi erano comunque condannati a vivere una vita a metà.  Anche questo era il fine del genocidio distruggere la parte maschile e fertile della popolazione in modo da interrompere la riproduzione, il dare alla luce la vita. 
Vennero separati uomini e donne dicevo e vennero deportati, quelli che non fuggirono nei campi, con dei pullman dall'altra parte, in quella che, anche a detta degli aguzzini era una zona sicura.
Ma non era così era solo l'inizio di un altro calvario .
Oggi centinaia di migranti sono strati rastrellati dalle autorità a Bihac e deportati in un luogo al confine di tutto in piena montagna dove si arriva difficilmente ed è impossibile scappare guardati a vista dai militari giorno e notte, senza speranza alcuna, solo la muta rassegnazione che ho potuto leggere nei loro occhi e il lampo di sorpresa e improvvisa speranza al vedere arrivare una macchina che non era militare .
Dicono, e le fonti sono accreditate, che solo la Croce Rossa entri saltuariamente nel campo, che le altre Ong si rifiutino di arrivare a Vucjak per una forma di protesta nei confronti della decisione delle autorità.
E intanto questa gente, queste persone, questi esseri umani nati nei paesi sbagliati vivono la loro agonica rassegnazione attendendo qualcosa che potrebbe avvenire mai, l'attraversamento di un confine che noi abbiamo disegnato . Perché noi esseri umani siamo ossessionati dall'idea di disegnare confini, dare nomi alle cose. Come diceva Korzybski ripreso poi dal grande Gregory Bateson  “la mappa non è il territorio e il nome non è la cosa disegnata . E allora per una sorta di un miracolo spero che il territorio fagociti per una volta sola la mappa e che il suo spirito apra la strada a queste centinaia di persone senza speranza.
Immagino una donna di Srebrenica davanti a questo campo di tende posto su un terreno che si dice sia anche parzialmente minato . Come reagirebbe questa donna? E tu mio fortunato connazionale come reagiresti davanti al dolore dell'altro?
Le ultime immagine che vi voglio donare sono queste.
Posto di frontiera di Velika Kladusa c'è una lunga coda per superare i controlli .
Due ragazzi mi si avvicinano vogliono dei soldi, fanno parte di questa parte di umanità che qui vive in un campo preso in affitto dal comune.
Domando loro da dove vengono . Mi dicono Siria , è  probabile che non sia così, almeno per uno dei due.
Do loro pochi Marchi Convertibili , la moneta nata provvisoria e poi divenuta definitiva, quelli che mi sono rimasti, ringraziano, uno di due ha gli occhi rossi, lacrimano, forse per via del freddo della notte o per un’irritazione.  Gli chiedo dove vivono, dove dormono? Mi rispondono alzando le spalle: per terra, nei campi, dove possibile .
Gli chiedo da quando sono li. Mesi è  la loro risposta.
Un altro sentiero di speranza spezzato.
Più avanti un padre con due figli chiede l'elemosina. Ogni tanto da qualche macchina ferma chiamano lui o i figli per dargli qualcosa.
Poi ad un certo punto da una macchina che sta quasi per passare il confine una mano invita uno dei bambini ad avvicinarsi . Un uomo giovane consegna al bambino una busta con sei o sette panini all'olio e alcune confezioni di formaggio. Il bambino abbraccia le buste come se fossero il dono più grande mai ricevuto .
Probabilmente quel pane e quel formaggio erano parte della spesa fatta quel giorno , ma la spesa si può rifare , quell'uomo però non dimenticherà mai, io penso, il volto di quel bambino. Come penso, non riuscirò a dimenticarlo io.
A volte ci vuole così poco a restare umani , piccoli gesti di umanità possono essere fatti da tutti anche da quelli che vorrebbero questa gente fuori da tutto.
Avevo fame e mi hai dato da mangiare , avevo sete e mi hai dato da bere questo ha detto il Dio in cui credo e questo ci rende umani perché in quel momento non importa chi sia la persona che si ha davanti. Un grande cantautore ha scritto: “Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno, non si guardò neppure intorno, ma verso il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”.
Le macchine ripartono mi trovo in quella terra di nessuno tra due posti di frontiera e guardo dallo specchietto retrovisore ancora quel bambino e una carezza del padre.
Ed è davvero troppo non posso fare a meno di piangere .

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