martedì 22 luglio 2014

Lo spirito di un villaggio. Storia di pace in un giorno di guerra

Da che ricordi ci sono sempre stato. Prima ero solo lo spirito dei luoghi, il rumore e il canto del vento, dell'acqua che scendeva dalle montagne, e terminava in qualche modo al mare. Eravamo solo io e lo spirito del fiume ci parlavamo nel silenzio, senza bisogno di parole.
Poi qualcuno, un nuovo animale , molto più intelligente degli altri ha iniziato a calpestare la mia terra, prima con dolcezza camminava sui miei prati, sulle mie rocce, si bagnava nelle mie acque, ed in fin dei conti era bello sentirsi amati.
Poi però il suo atteggiamento cambiò, e con lui quello degli altri che lo avevano seguito. Iniziò a conficcare legno nella mia terra, nel mio spirito, ma non mi faceva male, il legno è parte di me.
Con il tempo arrivarono altre persone, sempre di più e pian piano il legno lasciò il posto alla pietra  che però era sempre parte di me.
Qualcosa accadeva, qualcosa perdevo ogni giorno, erba, acqua, pietra, legno, ma ero certo che nonostante tutto chi abitava il mio spirito era parte di me.
I tempi corsero veloci, già non c'era più erba sul mio dorso, i rumori non erano più quelli del mio spirito, l'acqua era sempre più scarsa, il legno usato per i giochi dei cuccioli umani, e gli alberi sempre più pochi.
Avanzava il deserto da sempre mio nemico e ne avevo paura.
Ma pensavo comunque che nonostante tutto chi abitava i mio spirito, la mia terra mi amasse più di ogni cosa e questo mi rendeva comunque felice, anche se perplesso.
Ci fu però un epoca in cui compresi che non era amore quello che spingeva i miei ospiti a costruire , a vivere sulla mia terra.
Fu in quel periodo che iniziai a sentire le prime ferite e a sanguinare di dolore.
Fu quando altri arrivarono e calpestarono fino allo sfinimento, quelli che mi avevano costruito addosso.
Era la guerra dicevano, distruggevano tutto quello che chi c'era prima aveva costruito con parti del mio spirito, della mia terra, non capivo. Non c'era terra abbastanza per tutti?
Cambiarono le facce, le parole, le musiche e i colori, nuova gente, ma ormai ero lontano dal sentirmi parte della loro storia, la mia era ormai una storia di ferite.
Eppure non era che l'inizio.
Le guerre continuarono, gente senza cuore si sostituì ad altrettanta gente senza cuore.
Solo i bambini mi piacevano, ancora carezzavano quello che restava di me.
Poi arrivò una guerra che si prese soprattutto i bambini, per sbaglio, per errore dicevano.
Piovevano bombe e missili come coltelli nella mia nuda pelle, e io soffrivo e moriva pian piano il mio spirito.
Per anni solo fumo sulla mia terra, e desolazione.
Parlavo per ore con lo spirito del fiume e gli chiedevo perchè?
Lui mi rispondeva con altre domande: chi erano i corpi che accompagnava verso il destino, chiedeva?
Per lungo tempo eravamo solo io e lo spirito del fiume come nei tempi passati, la natura, la terra si era ripresa la città, l'aveva trasformata ricondotta a quello che era, al mio spirito.
Ma ormai nonostante tutto non potevo fare a meno di quegli animali pensanti.
E un giorno uno di questi ritornò, con grazia e rispetto iniziò a lavorare il mio spirito.
Che avessero capito? Che avessero compreso il dono della vita?
Lo spirito del fiume si girò dall'altro lato e si chiuse in silenzio.
Anni dopo ancora una volta trasportava frammenti di vita.
Nulla era cambiato, e le coltellate sulla mia pelle, sulla mia terra, sono ogni giorno sempre più terribili.
La mia voce si spegne.

venerdì 11 luglio 2014

Soltanto un altro giorno. Ricordando Srebrenica.

Questo e' soltanto un altro giorno in questo posto dimenticato da Dio. Prima viene l'amore poi segue il dolore. Che i giorni abbiano inizio. Le domande aumentano e le risposte cadono insormontabili...”.
Più o meno con queste parole inizia Love Boat Captain una delle più intense canzoni di Riot Act, l’album dei Pearl Jam frutto di un dolore forte e inaccettabile, una canzone magari poco conosciuta e poco cantata nei concerti ma in cui, a mio parere, il grande poeta Eddie Vedder ha sintetizzato la percezione del senso di vuoto che porta il dolore e la necessità dell’amore necessario per superarlo.
Soltanto un altro giorno quindi, con il suo dolore, con la sua pena , un giorno come tanti per molti, un giorno difficile da dimenticare , per molti, per i tanti che vivevano tra i monti al confine tra Bosnia e Erzegovina e Serbia.
Un altro anno è passato ed è di nuovo il momento di ricordare Srebrenica, il dolore incommensurabile, la ricerca incessante della giustizia, i tentativi di revisionismo o solo di ridimensionamento.
Un altro anno è passato pensando al dolore degli altri.
Srebrenica per me, nel tempo, è divenuta un’ossessione, che si è sempre di più accentuata invece che attenuarsi.
Neanche visitare il Memoriale di Potocari mi ha aiutato a fare i conti con questo dolore “questions rise and answers fall insurmontable
Molti potrebbero pensare: “ma in fin dei conti non si tratta di un tuo dolore, è un dolore di altri , perché lo senti così tanto tuo?
Forse perché quando tutto è successo e per anni ancora, l’intero mondo si perse nella sua indifferenza e forse perché penso che tutti dovremmo essere ossessionati dal genocidio che li è avvenuto e che si perpetua in mille e svariate forme ogni giorno, nelle mille Srebrenica che purtroppo ogni giorno segnano il mondo.
E poi perché sono sicuro che se al posto di migliaia di steli bianchi, fossero state piantate nel terreno miglialia di croci bianche, lo sterminio di Srebrenica avrebbe avuto un impatto differente. Sono morti dei musulmani, per anni poco è importato e forse ancora adesso qualcuno ha retro pensieri.
Srebrenica rappresenta la paura che possa accadere anche qui a pochi chilometri da casa.
A Tuzla, Srebrenica, Bratunac, oggi, più che ogni giorno, un vento freddo e ostile attraverserà come un brivido l’animo di chi è rimasto o di chi è ritornato in una terra desolata.
Molto si è scritto, molto nel mio piccolo, ho scritto anch’io e ne trovate traccia nel finale di questa breve riflessione.
Ma quel che rimane è il silenzio , il maledetto, terribile, silenzio del Memoriale di Potocari.
E’ soltanto un altro giorno che Dio manda sulla terra e in fin dei conti quello di cui abbiamo bisogno è solo amore.
E vi auguro amore e pace e lo auguro soprattutto, alle nonne, le madri, le figlie , figli e nipoti di Srebrenica.

Love is all you need

Per approfondire vi invito a leggere e vedere alcune cose che ho raccolto nel corso dei miei viaggi nei Balcani, video, foto e brevi riflessioni:

https://www.youtube.com/watch?v=DqeZ1tc48nw (prima parte di un video che ricostruisce l'atto che ogni 11 del mese si svolge nella piazza intitolata ai martiri a Tuzla in memoria di tutte le vittime di Srebrenica, la registrazione video e' del novembre 2009)

https://www.youtube.com/watch?v=chuCgT2tg6I (seconda parte del video girato a novembre 2009)


http://www.balcanicaucaso.org/Reportage/Un-infinito-prato-di-steli-bianchi.-Ricordando-Srebrenica-147284 (Una mia riflessione su Srebrenica dopo la visita al Memoriale di Potocari Gennaio 2014 ospitata dal sito dell'Osservatorio sui Balcani e il Caucaso)


Love Boat Captain


Beldocs festival tra memoria e attualità? E se quello che vediamo non fosse davvero "fiction"?

Si è aperto mercoledì con la proiezione di "Another Spring", film serbo in prima visione su come la Jugoslavia nei primi anni se...