lunedì 30 giugno 2014

C'era una volta il Pigneto. Come ho visto sparire un quartiere.

C'era una volta un quartiere, un quartiere ancora operaio nei primi anni novanta del novecento. Forse un po' decadente certo, ma pieno di vita, quella vera, quella dell'operaio per intenderci, del negoziante di quartiere, della gente comune che s'incontrava nell'isola pedonale per raccontarsi di figli e nipoti. C'era aria di casa, di famiglia.
Certo mancava il cinema, o meglio c'era , anzi erano due, l'Aquila e l'Avorio, cinema a luci rosse, quante risate con i miei coinquilini (ancora adesso siamo legati da un'amicizia che ha superato il tempo e lo spazio e le diversità) al leggere i fantasiosi titoli. Sbirciavamo dentro per vedere chi erano gli improbabili avventori.
Non c 'era il bulgari dell'eco sostenibile dove se compri un pomodoro è come se comprassi un gioiello, ma c'erano i "fruttaroli", e vi assicuro che i prodotti che vendevano erano sicuramente molto più biologici e meno radical chic o hipster di quelli che ora compriamo a 10 euro al chilo.
Non c'era la filiera indicata, ma in definitiva nei negozi "biologici" difficilmente l'ho trovata indicata.
Non c'era una libreria è vero, ma alcune volte c'era il cinema all'aperto, retrospettive su Pasolini, e la sera si poteva godere del fresco nell'isola pedonale.
Io abitavo a Via Pesaro 48, all'angolo con via L'Aquila, di fronte casa c'era la Taverna Scarpetta, dove oggi c'è lo Yeti c'era un piccolo negozio che vendeva di tutto, un po' come i negozi dei pakistani oggi.
Poi pian piano "qualcuno" (non so chi e non mi interessa) ha scoperto il Pigneto, e le cose sono iniziate a cambiare e sembrava, in meglio.
La Borgata diveniva gradualmente quartiere, entrava nella città, nel suo centro.
Lo Yeti fu la prima struttura di un certo livello che aprì, ricordo i lavori, l'attesa, cosa avrebbe aperto al posto dell'alimentari? E poi la bella sorpresa, un bar libreria che divenne ben presto uno dei miei luoghi preferiti, un'oasi dove incontrarsi con gli amici, invitarli a scoprire come stava cambiando il Pigneto non si voleva venire perchè era perifieria.
Inizialmente non si trattò di una vera invasione, oltre l'Infernotto e lo Yeti c'era poco. Ah si c'era il pizzettaro fiorentino che ancora c'è, ricordo che era chiuso il mercoledì giorno delle canoniche partite di coppa, e c'era una pizzeria a taglio su via L'Aquila che noi chiamavamo "Calda Calda" perchè la signora diceva sempre "è calda calda", mai visto uno scontrino però... ma si una volta forse ... era in giro la finanza.
Ogni tanto capitava che qualcuno si accoltellasse, sapete com'è poca cultura, classi sociali non elevate, gente di borgata dicevano.
Oggi si accoltellano ancora al Pigneto vero? Gente di borgata?
I primi anni era tutta un'effervescenza cultura, librerie, quasi librerie, bar, ristoranti, cultura, cinema. C'era il Grauco, vecchio stampo, vecchio stile, mai stato al Kino, magari hanno continuato nella loro opera chissà.
Venne restaurato il cinema L'Aquila , tolto alla malavita, restituito alla cittadinanza, una delle poche e ultime cose fatte dal Comune e dalla Circoscrizione, si badi, sempre di sinistra e da sempre, per il quartiere, poi il nulla o quasi.
Perchè nel frattempo era iniziata la mutazione, le storie di vita dei vecchi abitanti andavano via, migravano, morivano, e al loro posto arrivavano nuove storie da costruire, una nuova identità per il quartiere? Non è stato così.
Ricordo l'ultima sera nella mia casa a via Pesaro prima di trasferirmi, il silenzio, ho guardato e accarezzato ogni parete di quella piccola casa e ho sentito un'epoca finire, sgretolarsi. La mia nuova vita iniziava e finora è stata piena di cose belle e di valore, la vita del "mio" Pigneto finiva, si sgretolava.
Per anni ho continuato a percorrere le strade del mio quartiere, sono arrivati gli artisti dicevano, vedrai come cambierà, diventerà una laboratorio di multiculturalità. E per un po' ci ho creduto che illusione e che delusione.
Chi erano gli artisti che venivano al Pigneto, che facevano, dove vivevano? Quasi non percepiti.
Però magari ti dici, sei tu che non la vedi questa vita culturale, se la gente ci viene ci troverà qualcosa no?
Poi però gradualmente chiudono le librerie, al loro posto altri piccoli e fatiscenti negozietti di alimentari, e intorno solo buchi ricavati nei vecchi magazzini del mercato dove si mangiano più o meno le stesse cose ammantate di nuovi nomi, basta inserire qualcosa di etnico e di "radical" e metterlo a 12 euro al piatto e tutto assume un altro valore.
E poi lo spaccio, le aggressioni. Sono stato anch'io aggredito in pieno giorno dopo essere stato "bloccato" sul marciapiedi da due ragazzi che volevano quasi costringermi a comprare lo loro "merda" (scusate ma quello è) tirandomi anche la catenina. Ci ho quasi ricavato un pugno in faccia ... ma è un episodio pensi no?
E purtroppo non è così.
Mi ritrovo alcune volte a pensare a qualche tempo fa, quando tutto era più povero e semplice forse e chissà anche più chiaro e poi guardo l'isola pedonale, il nulla che si è costruito e immagino che prima o poi, la gente, quella vera, che vuole riempire di identità un luogo, si riprenda gli spazi.
Ma poi mi guardo in giro e penso che in fin dei conti a chi viene al Pigneto gli interessa solo una bella "magnata" , una bevuta, una bella "canna" con gli amici, se ci gira pure una pisciata contro il muro va, che fa sempre bene, e penso: e adesso chi li ferma, chi convince la poca gente del posto che c'è qualcosa di buono oltre lo sballo? Come si fa a non convertire questo luogo in un nuovo luogo di foraggio per Forza Nuova?
La sinistra se ancora esiste, che in qualche modo ha "creato" il Pigneto se ne fotte, e intanto il quartiere è già fottuto.

giovedì 19 giugno 2014

Maiorca, la guerra civile spagnola, le fosse comuni e i bambini rubati. Parte prima.

Ricordo che in un film che ho avuto modo di vedere proprio qui a Maiorca, il film israeliano “ The Machmaker” di Avi Nesher  (2010)  , uno dei personaggi, un ragazzino chiede al nonno: “Ma perché è successa la guerra? Cosa erano i campi di concentramento?” .
Il nonno lo guarda e arrabbiandosi di colpo gli risponde: “Di queste cose in questa casa non si parla”.
La rimozione di eventi traumatici da parte non solo delle persone (si veda il bellissimo film e il fumetto da cui è tratto Valzer con Bashir) , ma delle intere comunità è una costante nella storia.
Connerton ha analizzato i modi in cui le società ricordano e dimenticano in due libri “Come le società ricordano”  (Armando editore) e il recentissimo “Come la modernità dimentica” ( Einaudi).
Tra continui vai  e vieni vivo a Maiorca ormai da più di tre anni e mi stupisco sempre di più di come tutto ciò che è legato alla guerra civile, a  Franco, alla dittatura, sia visto e vissuto come una sorta di tabù, qualcosa da non nominare, di cui non è necessario parlare, di cui ci si deve dimenticare perché la società trovi la sua pacificazione.
Un modo di affrontare la storia recente che fonda le sue radici fin dal periodo storico della Transizione (la prima esperienza democratica dopo la fine della dittatura franchista) quando,  più che tentare uno scontro tra le diverse parti,  si è cercata subito una forma di dialogo che, in realtà, ha finito per divenire il modo di affondare gradualmente quello che di terribile la dittatura aveva creato.
La Spagna è una società di conflitti, stato contro autonomie, autonomia contro autonomia , micro autonomie contro tutti.
Molti studiosi e anche tante persone che ho conosciuto a Maiorca sono convinti che il non aver vissuto in modo diretto la prima e la seconda guerra mondiale, non abbia portato alla creazione di un “sentimento nazionale”.
Mi verrebbe da rispondere: e noi italiani che le abbiamo vissute ampiamente sulla nostra pelle queste due guerre siamo stati in grado di creare un “sentimento nazionale”?
Sia quel che sia, penso che ci sia un fondo di verità nella riflessione dei miei amici maiorchini, quello che sorprende è che solo grazie ad una causa avviata da alcuni giudici argentini, solo adesso si stia scoperchiando il coperchio che teneva chiusa una terribile pentola a pressione con i suoi terribili segreti.
Si deve al magistrato argentino Maria Romilda Servini de Cubria se queste storie terribili sono uscite dal limbo in cui giacevano.
La “magistrata” argentina ha raccolto il testimone da Baltasar Garzon che qualche anno fa (a torto o a ragione non so giudicarlo non conoscendo bene la vicenda) fu inabilitato dall’istruire la causa presso l’Audiencia Nacional.
La Servini prese il testimone a fronte delle querele presentate dai familiari e nel constatare che morirono anche dei cittadini argentini tra i tanti, aprì l’indagine.
La “magistrata” è in questi giorni a Maiorca per raccogliere le testimonianza di alcuni figli di persone cadute e scomparse che per l’età avanzata non possono recarsi in Argentina o a Madrid e per raccogliere le prove di DNA necessarie per preparare una richiesta ufficiale di esumazione dei resti dalle fosse comuni.
 Sono più di 40 i maiorchini che persero i propri genitori e nonni durante la repressione. Ma la realtà è molto più vasta.
L’Associazione “Memoria de Mallorca”  (www.memoriadelesilles.org) che da anni lotta quasi da sola perché si abbassi il telo di silenzio sulla scomparsa dei loro cari, ha raccolto centinaia di storie di vita  e testimonianza degli scomparsi e sono consultabili sul sito dell’Associazione.
L’associazione ha anche censito ben 44 fosse comuni che conterrebbero ben 2.200 corpi di vittime della repressione. Di queste 24 fosse sono nei cimiteri municipali, 12 si trovano in cunette e nei campi, 4 sulle spiagge  e altre 4 in pozzi.
Maiorca fu uno dei luoghi della Spagna in cui la repressione fu più crudele , tenendo conto che gli scontri armati durano appena 15 giorni.
Sono molte le storie di efferatezza documentate e che hanno avuto un grande impatto anche a livello mediatico, una ci riguarda da vicino.
Porto Cristo, è una bella e pulita località turistica, tutto è perfetto nel paese, tanto che davvero sembra difficile immaginare che negli anni della guerra civile, avvenne uno dei fatti di sangue più cruenti della guerra civile nelle Baleari.
Sulla spiaggia tranquilla di Porto Cristo i repubblicani del Comandante Bayo che tentavano di riprendere Maiorca,  furono affrontati, fermati e trucidati (vennero bruciati vivi)  dalle forze di Franco aiutate da alcuni prodi soldati italiani mandati dal nostro fascistissimo governo in ausilio delle armate di Franco.
Erano i soldati al soldo del così conosciuto “Conte Rossi”, e fu proprio lui a fermare l’ultima resistenza repubblicana in terra baleare.
Alcuni amici dell’isola mi hanno raccontato di come questi italiani venissero visti dalla gente del popolo come grandi seduttori e soprattutto percepiti come ricchi e nobili, tutti una sorta di Conte Rossi.
Molte donne si innamorarono dei soldati italiani, alcune lasciarono la miseria dell’isola per una miseria ancora più grande quella dell’Italia fascista.
Questo è solo un episodio di questa memoria “sommersa” che gradualmente grazie all’opera di alcune associazioni sta faticosamente venendo alla luce.
Un’altra storia è quella del fucilamento del sindaco repubblicano di Palma Emili Darder.
Il primo plotone di esecuzione si rifiutò di sparare , il sindaco era molto malato e venne fucilato su una sedia perché non aveva neppure la forza di tenersi in piedi. Nel cimitero di Palma , affianco al Muro della Memoria , è stata collocata una sedia che ricorda questa tragica storia.
Si scava nelle fosse comuni , in questi giorni sono stati esumati i resti delle prime tre vittime nella località di Sant Joan , ma si esumano corpi dai cimiteri alla ricerca non solo di desaparecidos ma anche di bimbi comprati , sottratti e venduti.
Un’altra associazione maiorchina sta tentado di portare alla luce un’altra parte terribile della storia recente spagnola, di cui abbiamo triste esempi in Argentina e Cile, la terribile storia dei bambini sottratti e venduti.

Qualche giorno fa la prima esumazione, il primo esame di poveri resti di storia prima che diventino polvere.

Beldocs festival tra memoria e attualità? E se quello che vediamo non fosse davvero "fiction"?

Si è aperto mercoledì con la proiezione di "Another Spring", film serbo in prima visione su come la Jugoslavia nei primi anni se...