Mi definisco un uomo di sinistra, ma non di quella sinistra
chiusa e autoreferenziale, che si parla e riparla sopra e finisce per
ghettizzarsi nelle proprie idee e ideologie. Ho sempre pensato che essere di
sinistra significhi essere anche il più aperto possibile verso l’altro, anche e
direi soprattutto, verso quello che la pensa in modo diverso da me.
Poi se ci mettiamo la passione per i viaggi che ti porta
anche involontariamente ad aprire l’animo agli orizzonti e non alla storia e
alle storie precostituite, ecco che quando ho letto qualche anno fa che si
stava per realizzare un film sulle foibe, argomento che avevo iniziato a “leggere”
in maniera autonoma, chiaramente mi sono incuriosito e ho iniziato a seguire, anche
sulla pagina di Facebook, la difficile genesi di Red Land – Rosso Istria che ho
avuto modo di vedere ieri sera e che sarà comunque passato in prima serata
sulla Rai venerdì anche se disconosco su quale rete.
Ebbene, devo dire che la visione del film, ma ancor di più
il contesto in cui si è svolta, ha lasciato nel mio animo di persona libera e
curiosa, una serie di inquietudini che cercherò in breve di descrivere.
Partiamo dal contesto
della serata.
Chiaramente non mi sarei
aspettato di trovare tra il pubblico esponenti “illuminati” della nostra
sinistra o dell’ANPI, ero certo che tra il pubblico sarei stato praticamente l’unico
“indipendente” a vedere il film. Ero certo che ci sarebbero stati rappresentati
delle associazioni degli esuli, e questo ben venga, è necessario che chi ha
vissuto racconti, quello che speravo si evitasse e che diventasse una riunione
di un “Circolo di estrema destra monarchica” romana e non solo.
Insomma va bene che la sinistra, l’ANPI, hanno sicuramente delle
prevenzioni su quanto il film racconta (ma io onestamente sarei andato a
vederlo e mi sarei anche presentato se fossi stato in qualche partigiano o uomo
di sinistra presente in sala), e che alcuni atteggiamenti non aiutano il
dialogo, ma la sfilata di noti esponenti della destra italiana, a mio parere
non fa bene al film né al riconoscimento del dramma degli infoibati ed esuli.
E’ proprio questo contesto che mi ha spinto ad andare via a
metà della visione, mi sentivo in qualche modo fuori posto, a disagio. Io che
ero venuto a vedere il film con animo aperto e sicuro di vedere un prodotto che
tentasse di unire più che dividere, ero costretto ad ammettere di aver riposto
nel film e in chi lo ha realizzato troppe aspettative.
Eccoci al film.
Iniziamo da uno dei pregi: la presenza di un grande attore
come Franco Nero nel cast. La sua presenza nel film rende degno di nome lo
stesso. Il ruolo che interpreta, un professore disilluso e sempre in bilico tra
riconoscimento del ruolo del fascismo e ammissione degli errori dello stesso,
lo rende umano e vero.
Tanto è vero e umano che purtroppo gli altri attori sembrano
essere lì quasi per ad inscenare un dramma ad uso esclusivo di una parte
politica e sociale.
E badate che questo giudizio vale anche per tanti film
realizzati in modo acritico sui partigiani e sulla resistenza.
Ecco è proprio l’acriticità e il punto di vista del tutto
parziale a rendere il film una sconfitta, un’occasione mancata.
Come in ogni film di guerra ci sono tutti i topos e le
figure ricorrenti, in questo caso naturalmente a ruoli invertiti. Mentre nei
film sulla resistenza il partigiano è il buono, l’angelo liberatore, quasi un
messia, in questo caso queste caratteristiche le hanno i “fascisti buoni” abbandonati
dall’Italia e dai tedeschi al massacro. Mentre quasi come bestie senza alcun
lato umano vengono dipinti i partigiani. Ma vi chiedo, se finalmente dopo tanti
anni di ricerche storiche e antropologiche, abbiamo scoperto anche la figura
del “tedesco buono”, è possibile che non ci fosse un solo partigiano titino,
con appena un po’ di morale?
E poi perché non si stigmatizza con forza il ruolo nefasto
svolto dai tedeschi e il governo ustascia della Croazia, in teoria alleati
degli italiani, occupanti la Slovenia e la Croazia, che nulla fecero per gli
italiani d’Istria? Se ne accenna ma da quella parte “bestie” non se ne sono
trovate.
In tutto questo ciò che finisce davvero per essere messo in
secondo piano, e usato in modo strumentale, e in questo modo svilito, è proprio
il dramma di Norma Cossetto, e di questo me ne dispiace molto.
Insomma Red Land non è Magazzino 18, dove Cristicchi con la
sua grazia e la sua ricerca storica e umana, ha avuto il pregio di avvicinare
anche chi come me era scettico al dramma delle foibe.
Red Land è un film di parte, e in questo “partigiano”, in
cui vengono canalizzate le rabbie dei tanti torti subiti anche dallo stato
italiano contemporaneo.
Un film che quindi non può che portare ulteriore distanza
tra le parti.
Per quanto mi riguarda sto cercando di elaborare la mia
delusione, per il film in sè e per il contesto in cui è avvenuta la visione.
Per i motivi che ho fin qui esposto, ritengo ancor di più
necessario che delle foibe e dell’esodo si parli, che la gente, tutta, vada a
visitare la Foiba di Basovizza e il Magazzino 18, e che si riesca ad arrivare
al giorno in cui quanto accaduto non sia solo la memoria di una parte d’Italia
ma del paese tutto.
Perché non ci siano più alibi e nessuno né da sinistra, né naturalmente
da destra, possa sfruttare questo dramma a uso e abuso politico.
Vi invito a vedere il film e a farvi una vostra idea e se
volete ne parliamo anche all’infinito.
Buona visione … critica.
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