Devo dire che ci ho messo quasi una settimana prima di riuscire a sfogliare
il numero di Left , e qualche altro minuto per leggere l’anteprima di questo
nuovo libro, che, come i molti scritti o curati da Luca Leone, ci porta ancora
una volta nei “buchi neri della memoria” che ancora colmano di tragico mistero
la storia recente dei noi vicini di mare balcanici.
Ci ho messo qualche giorno perché, ogni qual volta leggo un
libro o un articolo su Srebrenica, Prijedor, Ahmici, e altri meno conosciuti
luoghi della memoria, luoghi in cui l’umanità è morta, devo superare un blocco
emotivo.
Da circa vent’anni, ma forse anche prima, per me la Bosnia
soprattutto, quanto accaduto in gran parte del suo territorio e che spesso la
terra ora nasconde forse in modo indelebile, è diventata per me una sorta di
ossessione, o forse una missione.
E nelle pagine di questo e di decine di libri di Luca Leone e
della Infinito edizioni, scorgo ogni volta la stessa ossessione, la stessa
missione.
Che non si dimentichi, che si continui a cercare , scoprire,
scavare, alla ricerca non solo dei corpi ma di “brandelli di verità”.
L’ultimo libro di Luca Leone scritto unitamente a Daniele Zanon,
racconta la storia di Alma e ci porta a
Prijedor , quella che viene anche conosciuta come la città del ritorno, uno dei
luoghi in cui avvennero cose che ci rimandano direttamente agli anni terribili
della seconda guerra mondiale e ai campi di sterminio nazisti.
Mai più si scrisse, in tutte le lingue del mondo.
E invece, l’uomo sembra non aver compreso ancora nulla dalla
storia e continua, sempre con maggiore efferatezza , a riproporre le stesse
terribili metodiche del terrore, con terribili upgrade che la tecnologia
fornisce.
Alma ci racconta la sua storia , la storia che è poi la
storia di un popolo in fuga, smembrato, dilaniato, massacrato e sepolto. Donne,
uomini, vecchie, bambini sono costretti a lasciare il luogo in cui hanno
vissuto, amato, sofferto, per i calcoli e le “idee” di pochi “bastardi senza
gloria”, capaci di mettere il simile contro il simile, in vicino contro il
vicino, in nome di una poco chiara supremazia.
La storia di Alma, riecheggia a storia della mia amica Dzeva
di cui ho raccontato qualcosa sul mio blog (https://trabalcanieatlantico.blogspot.com/2018/01/sopravvivere-srebrenica-my-smile-is-my.html), ed è la storia di chi nonostante tuttosopravvive ad un massacro,
perde gran parte della famiglia, degli affetti, dei ricordi, per ricominciare
in qualche modo a vivere, perché bisogna sempre e comunque ricominciare a
vivere.
Le chiamerei resilienze balcaniche.
Alma e i suoi vittime dell’assurda propaganda serba: “Vi
stiamo salvando dai musulmani” dicevano questi uomini in mimetica, lo dicevano
ai croati della Krajna, mentendo a loro stessi e al cuore della gente che a
loro si affidava volente o nolente.
Tre serbi, due musulmani e un lupo, già solo a guardare la
copertina ci riporta quindi a quel passato che speravamo non si ripetesse, nell’era
della televisione e di internet, seppure in quel periodo storico fosse solo
agli albori.
Ed invece Omarska, Trnopolje, sono solo due dei terribili
nomi dei campi di concentramento le cui terribili tracce piagano il territorio
della Bosnia Erzegovina.
Martin Pollack, in un suo bello e terribile libro (https://www.kellereditore.it/romanzi-racconti-e-reportage/347-paesaggi-contaminati-martin-pollack.html), parla di
Panorami contaminati, luoghi idilliaci che nascondo terribili segreti.
Di questi luoghi nei Balcani del Sud ce ne sono purtroppo
molti, e spesso un prato erboso, una collina, lo stesso letto di un fiume,
nascondono memorie terribili.
C’è da scavare materialmente per scoprire la verità nei
balcani, e bisogna avere un cuore aperto e pronto a comprendere la sofferenza
degli altri , e non un cuore di acciaio, come quello dei dirigenti della
Arcelor Mittal , che ha rilevato le acciaierie di Omarska, e che non hanno
consentito finora ai parenti delle vittime neppure di affiggere all’interno dei
cofini della proprietà una semplice lapide a memoria di quanto accaduto, a
memoria che anche questo è stato.
Un cuore d’acciaio che si contrappone al cuore e l’empatia
e la voglia di verità che da sempre riempiono le pagine dei libri di Luca Leone e
dei suoi collaboratori, e che anno dopo anno riempiono sempre di più la mia personale
“Biblioteca Balcanica”.
Un libro che spero presto possa essere presentato anche a
Roma e che per il suo linguaggio possa raggiungere più persone possibile, sperando possa renderle consapevoli
di quanto accaduto pochi anni fa a pochissimi chilometri dalle nostre coste
adriatiche.
I Balcani, infatti, sono molto più vicini di quanto
pensiamo, siamo noi che ce ne siamo allontanati sempre di più, dilatando a
dismisura quel tratto di mare che separa la nostra piatta terra dalle coste
scoscese e drammatiche della Croazia.
Forse creando nuove e incalcolabili distanze pensavamo di
aver allontanato chi avevamo abbandonato al proprio destino per via della
nostra cattiva coscienza, ed invece a distanza di anni Alma, Dzeva e le altre
coraggiose donne balcaniche ci pongono ancora una volta di fronte alla loro
lacerante storia.
C’erano tre serbi, due musulmano e un lupo e no … non è l’inizio
né di una fiaba, né di una barzelletta.
Ma poi chi è il lupo?
Sarà bello scoprilo nelle pagine di questo libro necessario.
Buona lettura a tutti
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