venerdì 26 gennaio 2018

Anche questo è stato. La difficile memoria del Campo di Jasenovac in Croazia.

Se vi foste trovati a passare per il piccolo abitato di Jasenovac (Bosco di Frassini nella traduzione italiana), contea di Sisak, Moslavina croata  agli inizi degli anni sessanta del novecento, non avreste trovato altro che un piccolo paese affacciato sul corso del fiume Sava immerso in un paesaggio naturale idilliaco a pochi metri dall'isola di Ustica dove la acque della Sava incontrano le acque di un altro grande fiume balcanico, il fiume Una .

Nulla di più falso, di più fuorviante, visto che vi sareste trovati in uno di quelli che Pollack ha definito paesaggi contaminati, e cioè luoghi in cui incantevoli paesaggi, nascondono cicatrici e ferite nascoste della storia e che solo in alcuni casi riemergono alla memoria grazie alla creazione di memoriali ce ne raccontano la tragica memoria (Martin Pollack, Paesaggi Contaminati, Keller, 2016).
A raccontare e ricordare il Campo di Jasenovac e quello gemello di Donjia Gradina ora nel territorio della Republika Sprska di Bosnia, rimane poco o nulla, ed è solo grazie al piccolo museo e al memoriale che si può individuare quanto meno il punto in cui era stato creato questo terribile luogo di terrore.

Jasenovac , infatti, fu la sede del più grande capo di concentramento creato dallo Stato Indipendente di Croazia filo nazista e diretto da Ante Palevic e dai suoi ustaša, fu articolato in cinque campi.
I primi prigionieri furono rinchiusi nei campi di Krapje (Jasenovac I) e Bročica (Jasenovac II) il 23 agosto 1941.
Questi due campi furono chiusi nel novembre del 1941, mentre gli altri tre campi, allestiti in seguito, Ciglana (Jasenovac III), Kozara (Jasenovac IV), Stara Gradiška (Jasenovac V), continuarono a funzionare fino alla fine della guerra.
Uno dei campi, come anticipato sopra era quello di Donija Gradina, mentre sull'isoletta di Ustica, luogo in cui confluiscono le acque dei fiumi Sava e Una, fa installato un campo destinato ai cittadini di etnia Roma.

Jasenovac fu diretto tra gli altri dall'ufficiale ustaša Dinko Šakić, catturato in Argentina nel 1998. Chiamato a giudizio nel suo Paese insieme all'amante Nada Luburić, negarono ogni accusa, ma furono condannati a 20 anni di carcere (20 aprile). Fu diretto per due mesi anche dal francescano Miroslav Filipović-Majstorović, che vi era entrato come prigioniero per crimini commessi in precedenza. L'ex religioso e cappellano militare, già sospeso dalle sue funzioni dal legato papale il 4 Aprile del 1942, venne espulso dall'ordine dei francescani il 22 Ottobre del 1942. Nel 1946 venne giudicato colpevole da un tribunale civile Jugoslavo di Belgrado e condannato a morte per i suoi crimini.
Le stime del numero di vittime nel campo di Jasenovac differiscono enormemente. Sono molte e difficilmente verificabili le fonti da cui provengono le tristi statistiche:  una di esse indica il numero di morti in una forbice fra 77.000 e 99.000. Di questi, i serbi sono stimati fra 45.000 e 52.000 (su un totale di 320/340.000 serbi uccisi in Croazia dagli ustascia), fra 12.000 e 20.000 ebrei (su un totale di più di 30.000 uccisi), fra 15.000 e 20.000 Rom e fra 5.000 e 12.000 croati e musulmani oppositori politici o religiosi del regime ustaša. Molti di questi erano bambini di età compresa fra i tre mesi e i quattordici anni. Sono stati individuati i nominativi di 83.145 vittime, fra le quali diciannove italiani, diciotto uomini e una donna, deceduti tra il 1941 e il 1945, i loro nomi possono essere letti nel piccolo museo dedicato alla memoria del Campo.
Nella sponda serba del fiume su cui è costruito il campo, ovvero nella Republika Srpska (parte della confederazione della Bosnia ed Erzegovina), si è continuato a proporre la cifra di circa 600.000 vittime (elaborata dalla storiografia jugoslava e portata avanti fino agli anni Ottanta anche nelle altre Repubbliche).
Fu definito l’Auschwitz dei Balcani, o l’Auschwitz Jugoslava.
Di questo terribile campo però fino alla metà degli anni 60 non restava praticamente nulla perché, quando nell’aprile del 1945 le unità dei partigiani iniziarono ad avvicinarsi al campo, i supervisori del campo nel tentativo di cancellare le tracce, bruciarono tutto,.
Il 22 aprile, ci fu una rivolta di 600 prigionieri, 586 furono uccisi e 84 scapparono. Prima di abbandonare il campo gli ustaša uccisero i restanti prigionieri e diedero fuoco agli edifici, alle stanze dei militari e alle stanze delle torture. Quando in maggio i Partigiani entrarono nel campo trovarono solo fumo rovine a scheletri poveri resti delle centinaia di vittime.
Solo nel 1966  fu creato un Memoriale, una scultura disegnata dallo scultore Bogdan Bogdanovic a memoria delle atrocità commesse dal governo filonazista. Si tratta di un grande fiore di cemento, un Loto, che domina la vallata a memoria di quel che è stato. Nonostante sia una costruzione all'apparenza semplice racchiude significati simbolici profondi. Data la natura del testo non mi soffermerò molto sulla simbologia del fiore, chi fosse interessato può leggere di più sul "Fiore di Pietra" e sul suo autore a questo link: http://www.spomenikdatabase.org/jasenovec.

La storia travagliata della memoria del campo di Jasenovac, doveva arricchirsi, negli anni successivi alla costruzione del memoriale, di nuovi tentativi di insabbiamento nel corso degli anni 90 del novecento a causa della dissoluzione della Jugoslavia e della successiva "guerra civile".
Poco dopo l’inizio del conflitto, siccome nel nuovo nascente stato Croato, erano sempre più evidenti i tentativi di revisionismo storico, Simo Brdar assistente del direttore del Memoriale trasferì, nel 1991, gran parte della documentazione nella parte Bosniaca del memoriale a Donja Gradina, nel tentativo di salvarne le memorie. Nel settembre dello stesso anno le forze croate vandalizzarono i luoghi del memoriale.
Le memorie rimasero nella nascente Republika Sprska fino al 1999 , quando grazie ad un accordo nel 2000 furono trasferite allo United States Holocaust Memorial Museum e un anno dopo riportate finalmente al memoriale di Jasenovac
Nel 2004 iniziò ad essere portato avanti un progetto di recupero della memoria dei luoghi e delle memorie individuali di chi era scampato al campo grazie all'opera della nuova direttrice.
Il nuovo memoriale riaprì nel 2006 con una nuova mostra permanente, video e documentazione originale, e una riproduzione del treno che portava i prigionieri direttamente nel campo. Non mancarono, anche in questo caso, polemiche anche da parte di esponenti del mondo ebraico. Efraim Zuroff, uno dei cosiddetti "Nazi-hunter" (cacciatori di nazisti),  lo definì “postmodernism trash” e criticò la rimozione di tutti gli strumenti di uccisione e tortura utilizzati dagli Ustascia.

Nonostante tutto Jasenovac rappresenta uno dei pochi memoriali nei Balcani che racconta le atrocità commesse durante la seconda guerra mondiale.

E arrivarci non è facile.

(Dal Diario di Viaggio)
Sono fortunato, è una fredda ma soleggiata  mattina di sole di un mite febbraio.  Sono partito da Zagabria in treno per raggiungere dopo un paio d’ore la stazione di Jasenovac. Da tempo avevo intenzione di visitare il Memoriale, e il convegno sulla memorialistica legata alla seconda guerra mondiale nei Balcani a cui sto partecipando a Zagabria, me ne da lo stimolo e l'occasione.
E ci vogliono stimoli davvero forti per raggiungere Jasenovac, il viaggio infatti, non è agevole.
Parto in treno da Zagabria, il paesaggio che scorre davanti a miei occhi in alcuni tratti è davvero spettrale: grandi fabbriche abbandonate si alternano a case ancora distrutte da quella che avevamo definito “guerra civile”.
La cosa però più sconcertante è l’arrivo alla stazione di Jasenovac , stazione che in pratica non esiste.
Solo grazie al fatto che alcune persone stavano scendendo ho capito che eravamo arrivati. Non c’è marciapiedi, si scende  direttamente sui binari. Quello che doveva essere il caseggiato nuovo in ferro è completamente abbandonato, mentre il caseggiato in mattoni, la vecchia stazione porta i segni della guerra e dell’abbandono.


Per raggiungere il Memoriale non si attraversa il paese, si segue per un breve tratto la strada statale, in un silenzio quasi assoluto interrotto solo dall'abbaiare dei cani e dallo scampanare della chiesa del paese.
Dopo qualche chilometro finalmente arrivo ad un incrocio dove trovo le prime indicazioni che portano al monumento.

Il vasto prato che si stende davanti a me è ciò che resta della memoria del campo.  C’è un piccolo museo, purtroppo chiuso, e un percorso che porta verso il Fiore di Loto che rappresenta la memoria di quel che di terribile è stato.

Sul cammino si trova una riproduzione del treno che portava i prigionieri nel campo e poco altro.

La difficile memoria e la sua damnatio.
Pochi metri prima della conclusione del cammino verso il Fiore, c'è un piccolo laghetto e in bronzo una ricostruzione di quella che doveva essere la struttura del Campo.

Lasciato il campo, in un silenzio assoluto, si ritorna verso Jasenovac dove è possibile incontrare sul cammino un altro memoriale in questo caso più genericamente dedicato ai martiri del fascismo

 e si svolta a sinistra verso la frontiera con la Bosnia Erzegovina, Repubblica Spsrska.
Si attraversa dapprima l’isoletta di Ustica il punto che delimita il confluire delle acque dei fiumi Una e Sava, e dove era istallato un campo di concentramento destinato ai Rom (di cui non resta traccia né si riscontrano memoriali),

 e poi superato il confine, se si percorrono poche centinaia di metri si arriva al secondo memoriale che ricorda quanto accaduto in queste terre.

Il Memoriale che ricorda il campo di Donja Gradina, è rappresentato da un tronco di un grosso albero che sembra osservare  lo scorrere incessante del fiume.



Luoghi di memoria, di una memoria ancora adesso divisa, dove si sovrappongono differenti memoriali, di drammi che la storia ci ha appena aiutato a comprendere.

Ritorno sui mie passi e attraverso la frontiera. I soldati sorridendo curiosi, non penso passino molti stranieri a piedi da quel confine, mi chiedono da dove vengo e poi mi appongono il visto sul passaporto, avranno qualcosa da raccontare stasera.
A me non resta che camminare velocemente verso la stazione e cercare di prendere un treno che mi porti verso la vicina Novska dove dovrò cambiare convoglio.

Il treno si avvicina io attraverso uno dei binari e sollevo la mano come se stessi prenotando la fermata di un tram o di un bus, salgo a fatica , il dislivello (mind the gap direbbero gli inglesi) tra terreno senza banchina e treno è molto, e sono costretto quasi ad arrampicarmi.
Nel breve viaggio verso Novska, guardo osservo ancora una volta scorrere dal finestrino la wasteland croata, luoghi che l'ancora recente guerra civile ha svuotato di persone e memorie, lasciano a memoria di una nuova tragedia case che nessuno più abiterà.

E ricordo anche in questo caso come tutto questo è stato

1 commento:

  1. Mio nonno paterno e' stato ucciso lì: piedi e mani dietro la schiena legati col fil di ferro e ad altri prigionieri, una grossa pietra al collo buttati nella Sava.
    Di lui non esiste alcun documento, non l'ho mai conosciuto e non ho nessuna fotografia di lui.
    Vorrei che la storia di Jasnovac fosse qncora di piu approfondita e resa pubblica e chiara la responsabilita della chiesa.

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