giovedì 9 febbraio 2017

PGGV n. 7: Da Gaeta a Basovizza. Viaggio nel Ricordo.

La prima volta che mi sono trovato a confrontarmi con quanto successo durante e dopo la seconda guerra mondiale nei luoghi di confine con la Jugoslavia fu una trentina di anni fa.
            Ci trovavamo a Gorizia, questo perché mio padre navigante, si trovava per qualche  mese a Monfalcone e con mia madre avevamo deciso di raggiungerlo per un breve periodo.
            Eravamo  in una delle chiese di Gorizia, non ricordo adesso se fosse la cattedrale, e avevamo sentito la messa. Al termine stavamo visitando la chiesa quando non ricordo per quale motivo iniziammo a parlare con una signora che ad un certo punto con rabbia disse: “ Ma cosa ne potete capire voi della guerra, del dolore, solo noi che viviamo qui lo possiamo comprendere”.
            Quella frase mi rimase impressa nel ricordo e quando molti anni dopo iniziai ad interessarmi del variegato mondo balcanico, il mio interesse nei confronti di quanto accaduto in Istria e Dalmazia iniziò gradualmente a crescere.
            Durante il corso universitario di Teoria e Pratiche dell’Antropologia ebbi poi l’occasione di studiare i libri di Raoul Pupo e divenne forte il desiderio di visitare alcuni dei luoghi della memoria o del ricordo, per restare in linea con la giornata celebrativa.
            In questa riflessione eviterò ogni giudizio politico o disamina critica su come l’esodo istriano dalmata e le foibe  sia stato presentato e vissuto da noi italiani, mi riservo questa riflessione unitamente a quella sul giorno della memoria per un ulteriore post.
            Quello che qui mi preme è invitarvi ad un viaggio di scoperta.
            Un viaggio che non inizia come potrebbe essere prevedibile al confine triestino e goriziano, ma dal mio paese natale Gaeta.
Sulla facciata della  Caserma Cosenz, dopo il restauro divenuta non senza polemiche il nuovo Palazzo della Cultura, si trova una targa che ricorda l’esodo istriano dalmata.
            Mi hanno raccontato i miei che le camerate della caserma furono suddivise in piccoli ambienti separati talvolta solo da tende. Li vissero seppur per un breve periodo, i profughi di quel terribile esodo, dimenticati e giudicati, considerati non vittime ma carnefici, o almeno “volenterosi sodali di Mussolini”, per riprende il titolo di un famoso libro “I volenterosi carnefici di Hitler”. Molti storici, però,  hanno confermato che tra i tanti uccisi e infoibati  c’erano anche comunisti che non si piegarono ai diktat di Tito e persone che avevano avuto solo la sfortuna di nascere e vivere in quelle bellissime terre.
            Ricordo una signora che spesso incontravo sul corso di Gaeta, portava un fazzoletto in testa, la chiamavano la “Montenegrina”.
In questo video di un'emittente del Golfo attraverso materiale video dell'istituto luce viene ricostruita la storia dell'esodo in terra pontina:


            Da Gaeta pochi chilometri ed entriamo a Roma.
         Sulla Laurentina, a poche centinaia di metri dalla Metro Laurentina, c’è quello che è conosciuto (non so da quanti in realtà) come il Villaggio Giuliano – Dalmata.
            Il villaggio Giuliano – Dalmata sorge nell’area destinata ad ospitare alla fine degli anni ’30 le maestranze addette alla costruzione del nuovo quartiere EUR.
            Tale area venne denominata Villaggio Operaio E42, una serie di case basse, articolate in padiglioni a forma di ferro di cavallo.
            Nel Bar che prende proprio il nome dal villaggio “Bar E42” è possibile visitare una piccola mostra di cui il pannello nella foto ne è parte integrante.


            Con lo scoppio della guerra gli operai lasciarono gradualmente il villaggio.
            Nel 1948 i padiglioni vennero trasformati in 100 appartamenti provvisori dove trovarono alloggio una parte dei 500.000 esuli dall’Istria, dalla Dalmazia e dal Quarnaro.
            Il villaggio crebbe velocemente e ora si presenta così il visitatore.









            Dopo aver visitato il villaggio stavolta bisogna fare molti chilometri in treno e raggiungere Trieste dove il primo passo sarà la visita di uno dei tanti luoghi che ricordano il dramma delle foibe, la Foiba di Basovizza
            La foiba di Basovizza è un inghiottitoio che si trova in località Basovizza, nel comune di Trieste, nella zona nord-est dell'altopiano del Carso a 377 metri di altitudine.
            In origine la cosiddetta foiba di Basovizza era un profondo pozzo minerario, nel territorio della frazione di Basovizza, nel comune di Trieste. Scavato all'inizio del XX secolo per l'estrazione del carbone e poi abbandonato per la sua improduttività; fu una concessione di ricerca dell'A.Ca.I. (Azienda Carboni Italiani). Nel maggio 1945 fu utilizzato dai partigiani jugoslavi per l'occultamento di un numero imprecisato di cadaveri di italiani e tedeschi durante l'occupazione jugoslava di Trieste; furono vittime gettate all'interno del pozzo un numero rilevante di cadaveri di prigionieri, militari e civili trucidati dall'esercito e dai partigiani titini. Storici come Raoul Pupo, Roberto Spazzali, e Guido Rumici sostengono che è impossibile calcolare il numero esatto dei corpi infoibati, altri invece all'opposto affermano che il calcolo può essere compiuto sulla base di stime. L'11 settembre 1992 è stata dichiarata monumento nazionale.










            La documentazione raccolta dagli alleati anglo-americani in merito agli infoibamenti è basata in parte sulle testimonianze dei parroci di Sant'Antonio in Bosco e di Corgnale, rispettivamente don Francesco Malalan e don Virgil Šček. Le due testimonianze riferivano di processi lampo - a loro dire regolari - tenuti dall'armata jugoslava a carico di alcune centinaia fra agenti dell'Ispettorato locale e militari (compresi circa 40 tedeschi), con fucilazioni e corpi gettati nel pozzo della miniera.
            Nel 1980 la foiba è stata riconosciuta come monumento d'interesse nazionale e nel 1991 vi ha fatto visita il presidente Francesco Cossiga. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro ha dichiarato il pozzo minerario di Basovizza monumento nazionale con decreto datato 11 settembre 1992. Il 10 febbraio 2007 dopo una serie di lavori di recupero e di restauro dell'area monumentale presso la foiba di Basovizza è stato ufficialmente inaugurato il nuovo sacrario in onore dei martiri delle foibe in cui si conserva anche ufficialmente un documento con alcune testimonianze sul massacro.


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