La
prima volta che mi sono trovato a confrontarmi con quanto successo durante e
dopo la seconda guerra mondiale nei luoghi di confine con la Jugoslavia fu una
trentina di anni fa.
Ci trovavamo a Gorizia, questo
perché mio padre navigante, si trovava per qualche mese a Monfalcone e con mia madre avevamo
deciso di raggiungerlo per un breve periodo.
Eravamo in una delle chiese di Gorizia, non ricordo
adesso se fosse la cattedrale, e avevamo sentito la messa. Al termine stavamo
visitando la chiesa quando non ricordo per quale motivo iniziammo a parlare con
una signora che ad un certo punto con rabbia disse: “ Ma cosa ne potete capire voi della guerra, del dolore, solo noi che
viviamo qui lo possiamo comprendere”.
Quella frase mi rimase impressa nel
ricordo e quando molti anni dopo iniziai ad interessarmi del variegato mondo
balcanico, il mio interesse nei confronti di quanto accaduto in Istria e
Dalmazia iniziò gradualmente a crescere.
Durante il corso universitario di
Teoria e Pratiche dell’Antropologia ebbi poi l’occasione di studiare i libri di
Raoul Pupo e divenne forte il desiderio di visitare alcuni dei luoghi della
memoria o del ricordo, per restare in linea con la giornata celebrativa.
In questa riflessione eviterò ogni
giudizio politico o disamina critica su come l’esodo istriano dalmata e le
foibe sia stato presentato e vissuto da
noi italiani, mi riservo questa riflessione unitamente a quella sul giorno
della memoria per un ulteriore post.
Quello che qui mi preme è invitarvi
ad un viaggio di scoperta.
Un viaggio che non inizia come
potrebbe essere prevedibile al confine triestino e goriziano, ma dal mio paese
natale Gaeta.
Sulla
facciata della Caserma Cosenz, dopo il
restauro divenuta non senza polemiche il nuovo Palazzo della Cultura, si trova
una targa che ricorda l’esodo istriano dalmata.
Mi hanno raccontato i miei che le
camerate della caserma furono suddivise in piccoli ambienti separati talvolta
solo da tende. Li vissero seppur per un breve periodo, i profughi di quel
terribile esodo, dimenticati e giudicati, considerati non vittime ma carnefici,
o almeno “volenterosi sodali di Mussolini”, per riprende il titolo di un famoso
libro “I volenterosi carnefici di Hitler”. Molti storici, però, hanno confermato che tra i tanti uccisi e
infoibati c’erano anche comunisti che
non si piegarono ai diktat di Tito e persone che avevano avuto solo la sfortuna
di nascere e vivere in quelle bellissime terre.
Ricordo una signora che spesso
incontravo sul corso di Gaeta, portava un fazzoletto in testa, la chiamavano la
“Montenegrina”.
In questo video di un'emittente del Golfo attraverso materiale video dell'istituto luce viene ricostruita la storia dell'esodo in terra pontina:
Da Gaeta pochi chilometri ed
entriamo a Roma.
Sulla Laurentina, a poche centinaia
di metri dalla Metro Laurentina, c’è quello che è conosciuto (non so da quanti
in realtà) come il Villaggio Giuliano – Dalmata.
Il villaggio Giuliano – Dalmata
sorge nell’area destinata ad ospitare alla fine degli anni ’30 le maestranze
addette alla costruzione del nuovo quartiere EUR.
Tale area venne denominata Villaggio
Operaio E42, una serie di case basse, articolate in padiglioni a forma di
ferro di cavallo.
Nel Bar che prende proprio il nome
dal villaggio “Bar E42” è possibile visitare una piccola mostra di cui il
pannello nella foto ne è parte integrante.
Con lo scoppio della guerra gli
operai lasciarono gradualmente il villaggio.
Nel 1948 i padiglioni vennero
trasformati in 100 appartamenti provvisori dove trovarono alloggio una parte
dei 500.000 esuli dall’Istria, dalla Dalmazia e dal Quarnaro.
Il villaggio crebbe velocemente e
ora si presenta così il visitatore.
Dopo aver visitato il villaggio
stavolta bisogna fare molti chilometri in treno e raggiungere Trieste dove il
primo passo sarà la visita di uno dei tanti luoghi che ricordano il dramma
delle foibe, la Foiba di Basovizza
La foiba di Basovizza è un inghiottitoio che si trova in località Basovizza, nel comune di Trieste, nella zona nord-est dell'altopiano del Carso a 377 metri di altitudine.
In
origine la cosiddetta foiba di Basovizza era un profondo pozzo minerario, nel
territorio della frazione di Basovizza, nel comune di Trieste. Scavato all'inizio del XX secolo per l'estrazione del carbone e poi abbandonato per la sua
improduttività; fu una concessione di ricerca dell'A.Ca.I. (Azienda Carboni Italiani). Nel maggio 1945 fu utilizzato dai partigiani jugoslavi per l'occultamento
di un numero imprecisato di cadaveri di italiani e tedeschi durante
l'occupazione jugoslava di Trieste; furono vittime gettate all'interno del pozzo un
numero rilevante di cadaveri di prigionieri, militari e civili trucidati
dall'esercito e dai partigiani titini. Storici come Raoul Pupo, Roberto Spazzali, e Guido Rumici sostengono che è impossibile calcolare il numero esatto dei
corpi infoibati, altri invece all'opposto affermano che il calcolo può essere
compiuto sulla base di stime. L'11 settembre 1992 è stata dichiarata monumento nazionale.
La
documentazione raccolta dagli alleati anglo-americani in merito agli infoibamenti è basata
in parte sulle testimonianze dei parroci di Sant'Antonio in Bosco e di
Corgnale, rispettivamente don Francesco Malalan e don Virgil Šček. Le
due testimonianze riferivano di processi lampo - a loro dire regolari - tenuti
dall'armata jugoslava a carico di alcune centinaia fra agenti dell'Ispettorato
locale e militari (compresi circa 40 tedeschi), con fucilazioni e corpi gettati
nel pozzo della miniera.
Nel 1980 la foiba è stata
riconosciuta come monumento d'interesse nazionale e nel 1991 vi ha fatto visita il presidente Francesco Cossiga. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro ha dichiarato il pozzo minerario di Basovizza monumento nazionale con
decreto datato 11 settembre 1992. Il 10 febbraio 2007 dopo una serie di lavori
di recupero e di restauro dell'area monumentale presso la foiba di Basovizza è
stato ufficialmente inaugurato il nuovo sacrario in onore dei martiri delle
foibe in cui si conserva anche ufficialmente un documento con alcune
testimonianze sul massacro.
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