Un
luogo imprecisato nei Balcani.
Un
uomo nella penombra della sua camera si avvicina al fornello da campo che è
divenuto la sua cucina, accende il fuoco, prende il bollitore e lo pone sulla
fiamma irregolare.
Poi
torna a sedersi stancamente sulla poltrona che adorna la spoglia stanza che
rappresenta la sua casa.
La
neve scende copiosa in questa sera di quasi Natale, guarda fuori i fiocchi
cadere e sente la pace colmare il suo spirito.
Guarda
la sua casa, che altro non è che una stanza, con orgoglio e si gode gli
scricchiolii del legno di cui è fatta.
Chiude
gli occhi, sembra quasi addormentarsi,
pensa a cose irraggiungibili, ormai perdute, è forse questo non è del
tutto un male.
Si
desta, il bollitore fischia, è l’ora di mettere a depositare il caffè nero e
aspro, e aspettare il suo tempo , aspettare che diventi nutrimento caldo per
l’anima.
Si
siede di nuovo nella penombra, una coperta sulle gambe, non fa freddo in casa,
semmai il freddo è nell’anima, e a volte dà brividi profondi.
Passano
alcuni minuti il caffè nel frattempo si è depositato sul fondo, è ora di
versarlo nella tazzina e berlo amaro com’è tradizione accompagnato da deliziose
gelèè di frutta.
Si
siede a tavola, posa la tazza fumante e apre un quaderno, dove appunta la sua
attività giornaliera, per ricordare anche solo a se stesso quel che sta
accadendo da qualche tempo in questo luogo all’apparenza lontano da tutto e da
tutti.
Poche
righe , poi sorso dopo sorso arriva il sonno, l’uomo si siede sulla comoda poltrona
e si addormenta, e sogna, sogna un fiume, che sogna un fiume.
Al risveglio, l’uomo continua il suo lavoro
nel freddo del primo mattino, ha dormito profondamente sulla poltrona, al caldo
della sua casa di legno, ma ha sognato qualcosa ma non riesce a ricordare.
Il
fiume , suo compagno silenzioso, fa una curva dove ora ha posto le sue radici,
e in questo punto è così largo da sembrare un piccolo mare. Sull’altra riva
solo arbusti e piccoli alberi, da quando è lì non ha mai visto altri uomini.
Uomini
come lui, pensa, con nomi simili ma
diversi che credono ad un Dio simile ma diverso, hanno tradizioni simili ma
diverse, ma fanno la guerra come tutti gli uomini, in questo simili, senza
eccezione.
L’uomo
è stanco di guerra, è solo, ed è quello che cerca.
Verso
mezzogiorno fa una pausa, mangia senza fretta guardando fuori, perdendosi nei
primi fiocchi di neve che iniziano a cadere ed è proprio mentre addenta un
pezzo di prosciutto che li vede arrivare.
Non
si aspettava di vedere altri esseri umani, almeno non così presto, guarda le
tre figure dalla finestra e ricorda qualcosa che viene direttamente dai ricordi
della sua infanzia felice. Un fumetto, l’Eternauta, una strana nevicata,
persone che muoiono al contatto con la neve, il silenzio, l’invasione degli
alieni, gli scafandri. L’uomo in un’altra vita è stato più che un contadino
evidentemente.
Continua
a guardarli mentre spaesati cercano di capire dove sono finiti. La donna con il
foulard si siede stanca su un tronco d’albero, la bambina stretta in un
cappottino troppo leggero per la stagione, si guarda intorno mentre stringe con
forza il suo cagnolino di pezza.
L’uomo
incrocia per un attimo il suo sguardo, non può far finta di niente,
l’ospitalità è un sacro dovere.
Esce
di casa li scruta uno per uno, sembra che abbiano camminato molto, il viso
segnato, come il suo.
L’altro
uomo guarda la moglie e rompe il silenzio: “ Signore ci scusiamo se la disturbiamo
… viaggiamo da giorni e non abbiamo dove stare … Vorremmo chiederle il permesso
di accamparci qui per la notte… Non staremo molto, il tempo di riposarci e
riprendere il cammino. La nostra meta non dovrebbe essere lontana.”
L’uomo
acconsente con il capo e indica ai tre una piccola capanna in legno dove tiene
i pochi attrezzi e la paglia. L’altro uomo ringrazia con deferenza e si dirige
con la donna e la bimba verso il casolare.
L’uomo
entra in casa, si ferma sull’uscio come a riprendere fiato e si dirige verso
una cassapanca, la apre e ne trae delle
coperte, prende poi la pentola dal fuoco e esce di nuovo.
Si
dirige verso la capanna e sempre in silenzio senza dire una parola, porge
all’uomo le coperte e la pentola con la zuppa.
Il
nuovo arrivato fa un cenno come per rifiutare, ma l’uomo risponde con un altro altrettanto eloquente segno, non
deve preoccuparsi.
Il
nuovo arrivato si inchina e ringrazia: “ Salam Aleikum”.
L’uomo
di Selo per un attimo si irrigidisce, poi saluta con un impercettibile gesto
del capo e chiude la porta in legno dietro di se.
Tornato
a casa, si siede al misero tavolo in legna, le mani che gli tremano, e gli
occhi lucidi, in preda a chissà quale emozione, apre la bottiglia di rakja e
beve due bicchieri di fila senza quasi respirare. Solo allora si sente quasi in
pace e respira profondamente.
Il
passato torna ancora con una forza tale da togliere il respiro. Prende un pezzo
di prosciutto e mastica a lungo, assecondando la rabbia e il dolore, cerca la
pace nella neve e , infine, si mette a
leggere alla luce di una lampada seduto sulla poltrona.
Più
tenta di leggere, più pensa a quelle tre persone ospiti del suo capanno.
Durante
la notte cerca invano di dormire, ma si accorge presto che non gli sarà
possibile, si mette così a scrivere qualcosa sul suo diario, poche righe
solcate dalle lacrime.
E
viene l’alba.
Con
le prime luci l’uomo esce di casa, si dirige verso il fiume e lo sente
scorrere, per qualche tempo trova pace, poi si dirige verso la Capanna, nessuno sembra essere
uscito durante la notte.
All’uomo
vengono in mente brutti pensieri. Bussa
alla porticina, sente qualcuno muoversi all’interno, di sicuro sono
vivi.
La
porta si apre e la donna si affaccia.
L’uomo
viene colto da un improvviso imbarazzo e non riesce a guardarla negli occhi,
proprio in quel frangente la porta si socchiude e dopo poco l’altro uomo si
sporge.
L’uomo
di Selo saluta: “Dobro Jutro”.
L’altro
risponde: “Salam Aleikum”.
“Spero
che il riparo sia stato confortevole” chiede l’uomo di Selo, l’altro annuisce
col capo: “ Grazie … andremo via il più presto possibile … non appena …”.
L’uomo
fa un cenno nell’aria, come per dire non ha importanza e si allontana.
L’altro
uomo lo segue con lo sguardo . Cosa ha fatto la guerra? Cosa ci ha resi? Si
chiede.
Nel
corso della giornata l’uomo di Selo continua i suoi lavori guardando di
sottecchi l’altro uomo e la sua famiglia. Giunta l’ora del pranzo l’uomo di Selo entra in casa, prende del pane scuro,
formaggio e prosciutto, la bottiglia di rakja e del succo di frutta e si
avvicina alla famiglia dinanzi ad un fuocherello.
Si
siede con loro, stende una coperta sul terreno e deposita il tutto invitando i tre
a mangiare.
Guardando
l’altro uomo quasi schernendosi pronuncia poche parole: “Qui c’è terra per
tutti …” e si allontana verso il fiume.
Dopo
qualche tempo, l’altro uomo si alza, lo raggiunge e gli pone una mano sulla
spalla.
“E
il Fiume vide che era cosa buona”.
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