giovedì 22 dicembre 2016

L'UOMO DI SELO (RACCONTO DI NATALE)

Un luogo imprecisato nei Balcani.
Un uomo nella penombra della sua camera si avvicina al fornello da campo che è divenuto la sua cucina, accende il fuoco, prende il bollitore e lo pone sulla fiamma irregolare.
Poi torna a sedersi stancamente sulla poltrona che adorna la spoglia stanza che rappresenta la sua casa.
La neve scende copiosa in questa sera di quasi Natale, guarda fuori i fiocchi cadere e sente la pace colmare il suo spirito.
Guarda la sua casa, che altro non è che una stanza, con orgoglio e si gode gli scricchiolii del legno di cui è fatta.
Chiude gli occhi, sembra quasi addormentarsi,  pensa a cose irraggiungibili, ormai perdute, è forse questo non è del tutto un male.
Si desta, il bollitore fischia, è l’ora di mettere a depositare il caffè nero e aspro, e aspettare il suo tempo , aspettare che diventi nutrimento caldo per l’anima.
Si siede di nuovo nella penombra, una coperta sulle gambe, non fa freddo in casa, semmai il freddo è nell’anima, e a volte dà brividi profondi.
Passano alcuni minuti il caffè nel frattempo si è depositato sul fondo, è ora di versarlo nella tazzina e berlo amaro com’è tradizione accompagnato da deliziose gelèè di frutta.
Si siede a tavola, posa la tazza fumante e apre un quaderno, dove appunta la sua attività giornaliera, per ricordare anche solo a se stesso quel che sta accadendo da qualche tempo in questo luogo all’apparenza lontano da tutto e da tutti.
Poche righe , poi sorso dopo sorso arriva il sonno, l’uomo si siede sulla comoda poltrona e si addormenta, e sogna, sogna un fiume, che sogna un fiume.
     Al risveglio, l’uomo continua il suo lavoro nel freddo del primo mattino, ha dormito profondamente sulla poltrona, al caldo della sua casa di legno, ma ha sognato qualcosa ma non riesce a ricordare.
Il fiume , suo compagno silenzioso, fa una curva dove ora ha posto le sue radici, e in questo punto è così largo da sembrare un piccolo mare. Sull’altra riva solo arbusti e piccoli alberi, da quando è lì non ha mai visto altri uomini.
Uomini come lui, pensa,  con nomi simili ma diversi che credono ad un Dio simile ma diverso, hanno tradizioni simili ma diverse, ma fanno la guerra come tutti gli uomini, in questo simili, senza eccezione.
L’uomo è stanco di guerra, è solo, ed è quello che cerca.
Verso mezzogiorno fa una pausa, mangia senza fretta guardando fuori, perdendosi nei primi fiocchi di neve che iniziano a cadere ed è proprio mentre addenta un pezzo di prosciutto che li vede arrivare.
Non si aspettava di vedere altri esseri umani, almeno non così presto, guarda le tre figure dalla finestra e ricorda qualcosa che viene direttamente dai ricordi della sua infanzia felice. Un fumetto, l’Eternauta, una strana nevicata, persone che muoiono al contatto con la neve, il silenzio, l’invasione degli alieni, gli scafandri. L’uomo in un’altra vita è stato più che un contadino evidentemente.
Continua a guardarli mentre spaesati cercano di capire dove sono finiti. La donna con il foulard si siede stanca su un tronco d’albero, la bambina stretta in un cappottino troppo leggero per la stagione, si guarda intorno mentre stringe con forza il suo cagnolino di pezza.
L’uomo incrocia per un attimo il suo sguardo, non può far finta di niente, l’ospitalità è un sacro dovere.
Esce di casa li scruta uno per uno, sembra che abbiano camminato molto, il viso segnato, come il suo.
L’altro uomo guarda la moglie e rompe il silenzio: “ Signore ci scusiamo se la disturbiamo … viaggiamo da giorni e non abbiamo dove stare … Vorremmo chiederle il permesso di accamparci qui per la notte… Non staremo molto, il tempo di riposarci e riprendere il cammino. La nostra meta non dovrebbe essere lontana.”
L’uomo acconsente con il capo e indica ai tre una piccola capanna in legno dove tiene i pochi attrezzi e la paglia. L’altro uomo ringrazia con deferenza e si dirige con la donna e la bimba verso il casolare.
L’uomo entra in casa, si ferma sull’uscio come a riprendere fiato e si dirige verso una cassapanca, la apre e ne trae  delle coperte, prende poi la pentola dal fuoco e esce di nuovo.
Si dirige verso la capanna e sempre in silenzio senza dire una parola, porge all’uomo le coperte e la pentola con la zuppa.
Il nuovo arrivato fa un cenno come per rifiutare, ma l’uomo risponde con  un altro altrettanto eloquente segno, non deve preoccuparsi.
Il nuovo arrivato si inchina e ringrazia: “ Salam Aleikum”.
L’uomo di Selo per un attimo si irrigidisce, poi saluta con un impercettibile gesto del capo e chiude la porta in legno dietro di se.
Tornato a casa, si siede al misero tavolo in legna, le mani che gli tremano, e gli occhi lucidi, in preda a chissà quale emozione, apre la bottiglia di rakja e beve due bicchieri di fila senza quasi respirare. Solo allora si sente quasi in pace e respira profondamente.
Il passato torna ancora con una forza tale da togliere il respiro. Prende un pezzo di prosciutto e mastica a lungo, assecondando la rabbia e il dolore, cerca la pace nella neve e , infine,  si mette a leggere alla luce di una lampada seduto sulla poltrona.
Più tenta di leggere, più pensa a quelle tre persone ospiti del suo capanno.
Durante la notte cerca invano di dormire, ma si accorge presto che non gli sarà possibile, si mette così a scrivere qualcosa sul suo diario, poche righe solcate dalle lacrime.
E viene l’alba.
Con le prime luci l’uomo esce di casa, si dirige verso il fiume e lo sente scorrere, per qualche tempo trova pace, poi si dirige  verso la Capanna, nessuno sembra essere uscito durante la notte.
All’uomo vengono in mente brutti pensieri. Bussa  alla porticina, sente qualcuno muoversi all’interno, di sicuro sono vivi.
La porta si apre e la donna si affaccia.
L’uomo viene colto da un improvviso imbarazzo e non riesce a guardarla negli occhi, proprio in quel frangente la porta si socchiude e dopo poco l’altro uomo si sporge.
L’uomo di Selo saluta: “Dobro Jutro”.
L’altro risponde: “Salam Aleikum”.
“Spero che il riparo sia stato confortevole” chiede l’uomo di Selo, l’altro annuisce col capo: “ Grazie … andremo via il più presto possibile … non appena …”.
L’uomo fa un cenno nell’aria, come per dire non ha importanza e si allontana.
L’altro uomo lo segue con lo sguardo . Cosa ha fatto la guerra? Cosa ci ha resi? Si chiede.
Nel corso della giornata l’uomo di Selo continua i suoi lavori guardando di sottecchi l’altro uomo e la sua famiglia. Giunta l’ora del pranzo  l’uomo di Selo  entra in casa, prende del pane scuro, formaggio e prosciutto, la bottiglia di rakja e del succo di frutta e si avvicina alla famiglia dinanzi ad un fuocherello.
Si siede con loro, stende una coperta sul terreno e deposita il tutto invitando i tre a mangiare.
Guardando l’altro uomo quasi schernendosi pronuncia poche parole: “Qui c’è terra per tutti …” e si allontana verso il fiume.
Dopo qualche tempo, l’altro uomo si alza, lo raggiunge e gli pone una mano sulla spalla.

“E il Fiume vide che era cosa buona”.

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