Come accade da alcuni anni a questa parte, quando si
avvicina il Giorno della Memoria, ho
preso la buona pratica di visitare un luogo che perpetui purtroppo la memoria
di quanto può essere terribile e disumano l’uomo. E’ necessario che questi
luoghi esistano, che questi memoriali vivano, perché molti che hanno purtroppo
subito la barbarie stanno morendo e le voci pian piano si spengono.
Lo scorso anno ero stato a Mauthausen, una camminata di 5 km
a piedi nella neve dalla stazione fino al Campo di Concentramento, poca gente,
qualche zingaro. E già perché ci si dimentica spesso che i rom hanno subito lo
stesso tragico destino degli ebrei e
degli omosessuali e dei testimoni di Geova.
Ma quest’anno mi sono spinto in altri territori complice
anche la partecipazione al Festival di Kustendorf sulle montagne tra Serbia e
Bosnia.
A 43 km da Mokra Gora dove si tiene il festival , c’è
Srebrenica.
Srebrenica è stata ed è per me un vero e proprio tormento,
una ossessione, fin da quando, dopo troppo tempo qualcuno se ne accorse e
iniziò a proiettarne le immagini in Tv.
Non voglio parlare di che cosa è successo a Srebrenica,
nonostante tutto si è scritto molto e anche in maniera revisionista. Anche in
questo caso per alcuni sembra quasi che ci siano stati una serie di strani
suicidi di massa più che degli eccidi. Ma forse queste persone non hanno mai
visitato Srebrenica.
Arrivare a Srebrenica non è semplice. La via più diretta è
da Sarajevo o da Tuzla. Da Belgrado partono dei pullman ma arrivano a Ljubovija
e li si fermano. C’è il confine, bisogna
cambiare mezzo.
Per raggiungere Srebrenica da Mokra Gora non ci sono mezzi
diretti e i 43 km potrebbero divenire 400, ma ho una macchina, peccato che
abbia targa serba, non ci avevo pensato, ma ne parleremo tra breve.
Da Mokra Gora si attraversano le belle montagne dei Monti
Tara fino ad arrivare ad un paese sulle rive della Drina Baijna Basta, da li
verso Ljubovija la strada corre in parallelo alla Drina, il grande, pulito,
storico bacino d’acqua che divide la Bosnia, meglio la Repubblica Serba di
Bosnia, dalla Serbia. Pochi i punti di attraversamento del fiume per centinaia
di chilometri, cosicché piccoli paesi si guardano da sempre senza mai
incontrarsi, come la metafora di quanto accaduto. La distanza è tanta tra
queste due sponde e si sente nell’aria nel cielo, nella natura.
A Ljubovija, superato il paese, se si svolta verso sinistra
si finisce direttamente davanti alla sbarra della frontiera. Un caseggiato con
poche pretese dove anni prima la frontiera non esisteva, il controllo è
accurato approfondito. Non c’è cordialità, solo indifferenza.
Si passa dall’altro lato attraversando un vecchio ponte in
ferro che ricorda quelli di Eiffel, vecchio in tutto, quasi fa paura.
Il posto di frontiera della Repubblica Serba di Bosnia è
ancora più malmesso, quasi artigianale.
Controllo dei documenti , poi il poliziotto mi chiede se
vado a Sarajevo.
No, gli dico, vado a Srebrenica a visitare il Memoriale.
Mi guarda e sorridendo mi dice: “Good luck”. Rimango
interdetto, era solo un modo di dire o davvero ho bisogno di fortuna?
Superato il posto di blocco girando a sinistra si è già nel
territorio di Bratunac uno dei luoghi sfortunati di questa aspra terra.
Bratunac, quando ci penso non posso non pensare allo spettacolo “ A come
Srebrenica” e a come Roberta Biagiarelli pronuncia il nome scandendolo “Bra- tu
– nac”. Se non l’avete mai visto lo spettacolo vedetelo è qualcosa che vi
lacera il cuore.
Ed è una terra lacerata quella che attraverso, umiliata e
offesa, in cui ancora sono chiaramente visibili i segni della guerra e della
barbarie. Decine di case sono ancora da ricostruire e riesco a vedere solo
quelle sulla strada principale, figurarsi quelle nascoste sulle colline.
Bratunac è polverosa, caotica, ci sono taxi ovunque che
sostituiscono un carente servizio di bus collegando la città alle sue frazioni.
Qui in occasione della commemorazione del massacro di
Srebrenica si è tenuta la contro manifestazione dei negazionisti serbi.
Perdo la strada, chiedo in giro, alcuni fanno quasi finta di
non sapere dov’è Srebrenica.
E guardano quasi tutti la targa della macchina e spesso non
sono sguardi benevoli, un ragazzo mi grida qualcosa mentre passo, riesco a
capire solo la parola “Serbia”. Inizio a sentire un disagio sempre più forte mi
sento quasi in obbligo di dire: “Sono straniero io non c’entro niente”, ma mi
limito a pensarlo.
Qui la memoria e la divisione sono ancora terribilmente
forti e ci sono mille memorie da ricucire.
Ritrovata la strada, dopo un chilometro scarso si arriva a
Potocari il luogo in cui è situato il Memoriale.
Potocari è un altro dei luoghi della vergogna, il luogo in
cui c’era la base dei caschi blu olandesi che non solo non riuscirono a fermare
il massacro ma quasi senza volerlo diedero una mano a renderlo ancora più
grottesco.
Il Memoriale è tutto nelle foto che tra poco vedrete, un
immenso prato di steli bianchi e poco altro. E silenzio e dolore.
Srebrenica, la città dell’argento , srebro significa argento
in serbo-croato, è li a pochi km. Sono indeciso se andare, cosa posso trovare? Che effetto avrà su di me?
Cosa può dirmi di più che già non dica questo prato infinito di steli bianchi?
Decido di andare, la attraverso in lungo e in largo , andata
e ritorno in silenzio, guardo la gente, la gente mi guarda e ogni tanto guarda
la targa. Ragazzi giocano a calcio per strada non si spostano quando sto per
passare. Cerco l’antica Srebrenik, ma trovo il sito archeologico chiuso. Volevo
un po’ di cultura per stemperare i
turbamenti.
Vado via attraverso di nuovo questa terra desolata così
lontana ancora da almeno una “finta pace”.
Poi, è incredibile a volte lo spirito umano, nella mia
ricerca di qualcosa di culturale, qualcosa che ricordi la storia antica dei
luoghi, cerco una necropoli in cui ci sono gli stecci dei bogomili, tombe
medievali caratteristiche della Bosnia.
Non la trovo, ma poi fermo in
macchina ad un semaforo mi chiedo, con tutti questi morti che senso aveva visitare una necropoli ?
Pochi chilometri mi separano dalla frontiera e dal viaggio
di ritorno verso Belgrado seguendo la Drina.
Non dimenticate Srebrenica, non possiamo lasciarla sola.