Già prima che succedesse quel che
è successo a Parigi, ultimo ma non ultimo atto di terrorismo e bieca violenza
da parte di persone che non possono essere considerate parte dell’umanità come
noi la concepiamo, ho iniziato una profonda riflessione sull’importanza delle
parole, sul come vengono pronunciate in che contesto, e da parte di chi.
Nell’ultimo anno ho iniziato,
infatti, una profonda riflessione sull’impatto che pensieri, idee e parole
pronunciate da persone che si ergono volenti e/o nolenti a opinion leader ,
hanno su quella parte della popolazione che si riflette nelle posizioni
dell’oratore, e che di questi condivide un’immagine quasi profetica o
messianica.
Ho atteso che fosse tutto più chiaro
nel mio pensiero e ho atteso altresì che finalmente arrivasse
quell’illuminazione sul titolo da dare a questa mia riflessione. E un giorno,
in viaggio, perché quasi tutto si rivela nel viaggio, ho iniziato a ripetere a
me stesso questa frase: “ la vita sociale
delle parole”.
Riecheggia un po’ il titolo di un
meraviglioso film di qualche anno fa, “La
vita segreta delle parole”. Il film tratto da una storia vera, portava lo
spettatore a riflettere sul peso delle parole e dei silenzi, e proprio dal peso delle parole voglio iniziare
questa mia riflessione.
Qualche tempo fa ho “osato” guardare
da un punto di vista leggermente differente dal pensiero mainstream, la nota vicenda
legata al processo a Erri De Luca. La vicenda è ben conosciuta, per alcune frasi dette in determinati
contesti e che in qualche modo sembravano un’istigazione da parte dello
scrittore all’esecuzione di un atto comunque violento nella direzione e
nell’obiettivo, l’autore è stato portato dinanzi ad un tribunale. Pur ritenendo
un’aberrazione portare le idee a
giudizio, voglio riflettere sul peso di quelle parole, questo perché
spesso si dimentica che non esiste solo una violenza contro le persone ma anche
verso le cose e verso i simboli. Non entro più nel merito se sia giusto o meno
boicottare la TAV e se la TAV stessa deve esistere, dovremmo riflettere preventivamente
sul concetto stesso di boicottaggio prima di chiederci se davvero il mondo sarà
migliore con o senza TAV.
Quel che mi urge è chiarire la
mia posizione che altro non è che un passaggio ulteriore nella mia riflessione
sulla vita sociale delle parole.
“Ecco cosa sono le parole, in esse c’è la vita” diceva Salvatore
Mignano mio amato professore alle superiori e grande scrittore. Ed è così nelle
parole c’è la vita ed esse vivono nella vita di ogni giorno, nella percezione e
nell’interpretazione che ne viene data.
Hanno appunto una vita sociale.
Quello che volevo esprimere
quando ho detto che non mi sentivo del tutto solidale con Erri De Luca, non era
riferito al non sentirmi solidale nel momento del giudizio, ma alla mancata
valutazione da parte dello scrittore dell’impatto sociale delle sue parole in
un contesto com’è quello della sinistra cosiddetta antagonista che vive di
varie e differenti anime non tutte definibili “pacifiste” e che ,penso, un profondo
conoscitore della vita e dalla società come De Luca dovrebbe conoscere bene.
Quello che contestavo era proprio
questo: la mancanza di responsabilità, di percezione della vita sociale di
quelle parole.
Ora mi immagino la prima
reazione: ma allora cosa vorresti che si
imbavagliassero le idee, che si tornasse alla censura ?
No di certo, ognuno è libero di
dire ciò che pensa ma deve prefigurarsi che le sue parole possano generare reazioni
anche di una certa pericolosità sociale.
Il discorso che facevo riguardo
Erri De Luca vale per tutti, ma quello che mi indisponeva era che da una
persona con un’esperienza anche dolorosa di vita come lui, mi sarei aspettato
più riflessione sul senso delle parole e sul contesto.
Mentre poco ci aspettiamo da uno
come Salvini, delle cui istigazioni alla violenza e all’apologia di qualunque
cosa spesso ridiamo senza problemi ( ma su cui forse dovremmo riflettere di
più) dobbiamo aspettarci da chi in un modo o nell’altro si erge a “profeta” una
maggiore responsabilità, una maggiore sensibilità.
Se le stesse frasi dette da Erri
De Luca le avesse pronunciate un esponente di Casa Pound saremmo tutti
d’accordo che si trattava di un’istigazione a delinquere etc … ma i profeti e
le loro parole non si toccano e non si criticano per via proprio del peso delle
parole, cariche di un significato ulteriore.
Purtroppo ultimamente in Italia
di profeti ne abbiamo fin troppi e il rischio di proselitismo acritico esiste. E
mentre Erri De Luca è uno scrittore che comunque ha scritto pagine
meravigliose, ci sono alcuni profeti del quartierino che nel loro italiano rabberciato
e con il loro cattolicesimo da operetta stanno tirando al loro mulino l’italietto medio che ha bisogno, come
il cane, del padrone che lo tira nei momenti di difficoltà.
Andiamo avanti.
Quando ho visto e letto le
vignette di Charlie Hebdo un brivido mi è passato nel corpo. Blasfeme? Non so
se definirle così, di sicuro irrispettose e pesanti. Perché si può e si deve
portare all’attenzione quello che è a nostro modo di vedere sbagliato in
sistemi e culture che noi consideriamo “altre” ma sempre tenendo conto del
contesto in cui queste vignette, queste parole sono lette, non possiamo pensare
alla satira come ad un prodotto costruito per noi occidentali e pensato per la
nostra sola fruibilità. Essendo il nostro mondo interconnesso, ogni parola o
gesto ha una sua importanza e una sua rilevanza.
E allora nel momento in cui io
scrivo o disegno qualcosa che parla di Maometto o di Allah devo sapere che nel
Corano è scritto che Dio non può essere ne pronunciato ne disegnato e che
quello che per noi può essere una leggera vignetta di satira diventa un macigno
tirato sulla fronte di milioni di persone che hanno una sensibilità diversa
rispetto a ciò che è sacro.
Chissà che una risata in meno,
forse, non avesse portato ad una reazione meno violenta.
Allora direte: “vabbè allora ogni volta che apro bocca o
scrivo qualcosa mi devo mettere a pensare se questo offende qualcuno o qualcun
altro o forse pensi che in qualche modo se la siano cercata offendendo l’islam?
Giustifichi gli attacchi terroristici come strumento di difesa?”.
La risposta è no, decisamente no.
La violenza è violenza senza
nessuna distinzione e senza nessun ma o però. Rimane il peso delle parole, un
peso enorme e la mancanza di rispetto verso quella parte di mondo islamico che
non prende in mano un fucile o una bomba , ma che sicuramente può essere
“offesa” dalla rappresentazione grafica del Profeta.
Un’altra eccezione che potreste
fare è questa: “ Ma perché noi dovremmo
avere tutto questo rispetto nei loro confronti , permettergli la costruzione di
moschee centri religiosi etc, mentre loro non ci consentono di esprimere la
nostra religione nei loro paesi, anzi la perseguitano sanguinosamente? Non
dovremmo pretendere lo stesso rispetto?”.
Questo discorso non ha senso e
porta all’inasprimento dell’idiozia, questo perché io non posso pretendere
dall’altro che faccia quello che io vorrei, questo sia nella vita personale che
in un contesto politico sociale religioso. L’unica cosa che posso fare è
rispettare l’altro senza aspettarmi che l’altro rispetti me. So che sembra
qualcosa di improponibile, ma penso che se io rispetto l’altro questi lo noterà
e finirà per rispettare me.
E’ difficile ma non impossibile.
E il maggior rispetto risiede nella gestione della nostra comunicazione, della
proposizione di idee.
Fin quando si ascolteranno falsi
profeti come la Fallaci e ipocriti convertiti coma Magdi Allam, il cui unico
messaggio è un violento disprezzo nei confronti del diverso, non ci si muove di
un passo, anzi si fanno solo passi indietro.
Altra obiezione: “Ma allora il male siamo noi e non l’islam? E
quello che viene fatto ai cristiani in Africa, in Nigeria per esempio?”.
In riferimento a questo mi
piacerebbe introdurre un altro punto di riflessione.
C’è una parte della nostra
società che anche solo con mezze parole esprime spesso un concetto che umanamente
è imbarazzante.
Una parte dei nostri concittadini
mi sembra dia un peso differente ai massacri che avvengono nel resto del mondo
e in particolare nei paesi in cui ad essere perseguitati non sono islamici, ma
bensì cattolici e cristiani.
Questo perché sulla fede
cattolica in particolare abbiamo costruito strutture e sovrastrutture che ci
portano a vederla come qualcosa di morto, marcio. Un luogo in cui vive il male,
lo sfruttamento anche quello sessuale, come se questo accadesse solo nella
chiesa cattolica e non anche in altre forme di religiosità.
La struttura Chiesa-Vaticano
incarna quel che per noi è la Chiesa. Ma la Chiesa Cattolica è anche altro e
spesso lo dimentichiamo, perché finiamo per considerare il cristiano che muore
in Africa come un martire di serie B, perché convertito da una Chiesa che noi
mal sopportiamo. L’Islam è puro anche nelle sue perverse manifestazioni, il
Cattolicesimo sporco e corrotto vale poco come i suoi martiri, persone di serie
B.
Un’esagerazione? Uno sbaglio di
prospettiva? E allora sbagliamo anche a pensare che ci siano morti di serie A e
di Serie B anche negli attacchi terroristi che stanno insanguinando il mondo
per mano dell’Isis. Non c’è la percezione netta forse che fino a quando
colpivano il “nemico interno” o quello appena appena esterno, vedi Siria, a noi
poco importava, ma Parigi è Parigi?
La vita sociale delle parole
dicevo.
Se si studiano i social networks,
si vede come ci sia una gara alla strumentalizzazione da una parte e dall’altra,
si estrapolano frasi o pezzi di frasi da contesti letterari più complessi, per
costruirci su un pregiudizio su cui si basa un’idea e in alcuni casi la linea
di un partito politico o movimento.
Le parole travisate e
reinterpretate assumono un nuovo peso, un nuovo e irrimediabile
fraintendimento.
Forse ho scritto troppo e forse
anch’io non ho tenuto conto del peso delle parole, ma quello che dovremmo
pensare quando scriviamo qualcosa, fosse anche uno status o un commento, è
questo: sto per dire questa cosa, magari per me è importante perché esprime la
mia rabbia , la mia insoddisfazione nei confronti di qualcuno o qualcosa, ma
che impatto avrà? Posso rinunciare all’offesa per contribuire ad una dialettica
di pace? Posso frenare la mia rabbia giusta o sbagliata che sia per cercare un
dialogo?
Mi sembra che da questo possa
partire una rivoluzione, che è quella di sempre, la rivoluzione dell’ascolto e
dell’empatia.
L’altro non corrisponde? Io non
posso essere nella sua testa e nel suo mondo.
Se la soluzione, l’unica
possibile è scaraventargli addosso bombe e ricambiarlo con lo stesso pane, io
non ci sto.
Siamo sicuri che se davvero
sentissero il nostro appoggio morale e umano senza preconcetti o
sovrastrutture, i tanto vituperati islamici moderati non si sentirebbero più
forti nella reazione? Se invece di rivolgere loro parole di scherno verso il
loro profeta , verso ciò che loro considerano sacro, cercassimo di costruire con
loro un nuovo umanesimo?
Altrimenti l’alternativa è quella
che conosciamo , e le bombe purtroppo pesano molto più delle parole e lasciano
danni indelebili, dovunque scoppino e chiunque uccidano.
Nessun commento:
Posta un commento