I Giuliano – Dalmata non sono una razza di cani, ma sono
certo che questo ormai lo sappiate tutti … o no ?
Se siete di sinistra, negli anni ve li hanno presentati come
fascisti della prima ora, gente capace di tutto pur di vivere nell'agio e nella
sicurezza, gente capace di vendere l’anima al diavolo per una casa con vista
mare nell’Istria o nella Dalmazia.
Se invece siete di destra, meglio se di estrema destra, gli
esuli Giuliano-Dalmata hanno rappresentato e ancora rappresentano per voi degli
eroi, dei simboli da difendere ed inalberare di fronte al “pericolo comunista”
che, si dice spesso e volentieri, è sempre più attuale (Mah !). Un esempio di
italiche virtù nel paese del comunismo dal volto umano . Gente , che pur di non
rinnegare il fascismo ha deciso di tornare in Italia e divenire esule in
Patria.
Niente di più falso, la storia è un’altra e si scrive e si
legge tra le pieghe delle piccole “storie di vita” che fanno la storia grande.
Le storie di vita degli esuli.
Sono anche loro parte di quelle masse travolte dalla storia,
di quei vinti senza redenzione di cui poche tracce troviamo sui libri di storia,
anche se molti ce l’hanno fatta, sono diventati anche famosi, come ad esempio
Sergio Endrigo.
Ma la loro storia in gran parte la ignoriamo , spesso per
partito preso o per scelta ideologica, solo perché li ha seguiti in Italia
l’ombra di uno stigma, l’essere “fascisti”.
La storia recente e alcune rivelazioni anche riguardanti
noti personaggi della cultura germanica (vedasi E. Bohll), hanno dimostrato che bisogna rileggere con
criticità un periodo storico terribile.
Chi era il vero fascista dell’epoca? Chi faceva parte solo
del partito per quieto vivere, per rendere sicura la vita della famiglia?
Quanti erano veramente “sovietici” nell’URSS? Quanti erano
“comunisti” solo per paura?
La storia ci ha consegnato tante di queste storie, di questi
fascisti e comunisti per convenienza o per paura.
Non tutti, purtroppo, siamo capaci di essere eroi, e non
tutti, meno male, siamo in grado di divenire gerarchi di un regime
dittatoriale.
Non voglio però addentrarmi ancor di più in questioni che
fanno male e che vengono spesso e volentieri male interpretate, ognuno ha la
sua idea , fatto sta che molti per colpa di un’idea, che fosse questa giusta o
sbagliata, condivisa o meno, sono stati stigmatizzati e umiliati due volte.
Dallo stato in cui si sono trovati a vivere , la Yugoslavia perché italiani e fascisti, e successivamente
dallo Stato Italiano perché avversi al nuovo regime (perché sempre di quello si
tratta, in questo caso una democrazia ma pur sempre un regime) che si andava
costruendo e stabilizzando.
Maledetti della e dalla Storia che nessuno voleva e che mal
si sopportavano.
Se volete approfondire la storia di quest’esodo e delle
foibe, esistono al momento molte pubblicazioni.
Vi consiglio i libri di Raoul Pupo che ho avuto modo di
studiare per un esame universitario, e vi consiglio altresì di evitare i libri che sono frutto di
costruzioni ideologiche di sinistra e/o di destra e di leggere liberi che
raccontano le storie della gente comune travolta dalla grande storia. Gente che
ha accettato per forza o scelta la sfida di una nuova vita.
Nell’ultimo periodo ho letto due libri che raccolgono storie
dimenticate di questo esodo dimenticato.
Il primo è il famoso (o per alcuni famigerato) libro di
Cristicchi Magazzino 18, che altro non è che un estratto dell’omonimo
spettacolo che il cantante/attore sta portando in giro per tutta l’Italia,
l’Istria e la Dalmazia.
Vale la pena leggere queste piccole storie raccolte
direttamente o de relato da Cristicchi,
senza pensare se l’attore sia di destra o di sinistra.
Cos’è il Magazzino 18 di cui parla Cristicchi? E’ il
magazzino dove per anni sono state ammassate le povere suppellettili e i
ricordi di chi ha vissuto questo esodo e per vari motivi non ha più potuto
recuperarle. Memorie di gente comune che andrebbero perse se non fosse che,
finalmente, Trieste ha un Museo di questa memoria non condivisa, proprio il
Magazzino 18.
Un altro libro, meno conosciuto, è in realtà una graphic novel dal titolo Palacinche , Storia di un’esule friulana,
di Caterina Sansone e Alessandro Tota. Caterina Sansone ripercorre a ritroso la
storia di sua madre e sua nonna e del loro esodo attraverso una raccolta di
documenti dell’epoca e un dettagliato lavoro di campo.
Come molti, le due donne, partite con un lasciapassare dall’Istria, dopo una notte a Trieste , vengono portate al
campo profughi di Udine dove vengono smistate e mandate in Sicilia, dove
restano un anno e successivamente trasferite a Napoli ,dove, finalmente dopo una
lunga permanenza nel campo di Capodimonte ricominciano a vivere come “persone
normali”.
Le palacinche sono delle crepes tipiche sia dalla zona
dell’Istria e della Dalmazia sia del Friuli, il nome è simile nelle due zone
(Palacinche in friulano e Palacinke in Croato), nelle ultime pagine del trovate la ricetta di questi gustosi dolci
presentata dai disegni di Alessandro Tota.
Le storie di vita raccontate in questi due libri, ma di
sicuro ce ne sono altri che non conosco, mi hanno portato ad approfondire
maggiormente la storia dei campi profughi e con sorpresa ho scoperto che uno
dei campi profughi era proprio nella mia città natale, Gaeta.
Quanti gaetani, giovani e meno giovani, ricordano o sanno
che la Caserma Cosenz, uno dei luoghi simbolo di Gaeta dopo una costosa riforma
lasciato li a morire, è stato uno dei luoghi che ha ospitato un campo profughi?
Parlando con i miei di questa storia dimenticata ho scoperto
che non era l’unico luogo in cui vennero “ospitati” gli esuli, anche il
Convento di San Domenico è stato uno dei luoghi di residenza degli esuli.
I miei mi hanno raccontato che molti lavoravano nelle
costruzioni ed erano dei lavoratori instancabili, forse per paura o per
orgoglio, e che spesso gli altri lavoratori si lamentavano perché nessuno
poteva raggiungere gli “standard” dei fiumani e a loro volta avevano paura di
prendere il lavoro. Ma c’era anche tanta solidarietà tra i gaetani e gli esuli.
Ricordo un episodio della mia infanzia: una donna già
anziana che cammina su Corso Cavour con un fazzoletto in testa e io che chiedo
a mia madre chi sia e mia madre che mi risponde: “ Sono le montenegrine”.
Probabilmente non erano montenegrine, ma erano parte di questa
massa dimenticata dalla storia.
Sono certo che a Gaeta ci sono ancora figli, nipoti, e
chissà magari ancora qualche voce diretta di quell’esodo terribile.
Mi piacerebbe raccogliere queste voci e portarle alla luce,
così chi conosce qualcuno che abbia la voglia di raccontare la sua storia o la
storia dei propri cari, mi contatti e magari può essere l’inizio di un lavoro
che possa portare alla luce la voce di questi “sommersi” dalla Storia.